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Far East Film Festival 15: il resoconto della quarta giornata

Sugli schermi di Udine Lethal Hostage, noir tra i più interessanti degli ultimi tempi. Presentati anche Forever Love, omaggio al vecchio cinema taiwanese, e due film coreani, il gangster-movie New World e il dramma familiare Juvenile Offender

Giornata meno pregna questa quarta del Far East Film Festival 15, in una Udine piovosa e freddina che concilia l'asserragliarsi nel teatro.
Partiamo col nippo-(ma soprattutto) taiwanese Forever Love di Shiao Li-shiou e Kitamura Tayoharu, commedia romantica calata però in un grande omaggio dichiarato fin troppo palesemente al cinema taiwanese anni '60-70, attraverso il racconto dell'epoca d'oro dell'industria cinematografica dell'isola-Stato narrato da uno sceneggiatore, oggi ormai nonno e malandato. Tra attori improbabili, produttori cinici e cialtroni, sceneggiatori dalla fantasia illimitata, pubblico rapito da star e da divi locali, il revival, quasi un Nuovo Cinema Paradiso orientale, offre un sincero e divertito sguardo sul 'sogno cinematografico', motore di una cinematografia sì artigianale, ma ricca di inventiva e di voglia di sentimenti. La storia d'amore è per il cinema, ma è anche quella di due personaggi che al cinema hanno donato se stessi, senza risparmiare nulla, fino alla fine. E poco importa se soprattutto nel finale si scivola nel melenso: quando i sentimenti sono sinceri, sono capaci ancora di accendere il cuore.

Col pomeriggio si piomba invece in uno dei noir più interessanti degli ultimi tempi: Lethal Hostage del cinese Cheng Er, oltre ad essere un film che affronta un genere poco frequente nel panorama cinese, è lavoro dal respiro ampio che attinge al noir francese e si struttura tarantinianamente in capitoli che articolano un racconto che si svolge nell'arco di venti anni. Storia di trafficanti di droga di bambine rapite che diventano donne e sublimano la Sindrome di Stoccolma, di tradimenti e di vendette, raccontata coi ritmi giusti e con la dovuta oscurità in fondo alla quale c'è la luce di una redenzione morale.

Gangster story alla coreana, New World del regista Park Hoon-jung è una storia con tutti i cardini del genere al punto giusto, quelli che non appartengono certo al cinema coreano, ma che di fatto sono diventati ormai dei classici universali irrinunciabili del genere: gangster dai colletti bianchi sporcati di sangue, infiltrati, doppiogiochisti, amicizie impossibili e poliziotti senza scrupoli pronti a sacrificare tutto. La storia regge, qualche momento è più che valido, ma soprattutto nel finale l'atavica prolissità coreana allunga il brodo di almeno buoni venti minuti quasi inutili che, se non scalfiscono totalmente la validità del film, ne inficiano però il risultato finale, che comunque rimane sufficiente.

Si chiude con un altro lavoro coreano, Juvenile Offender, opera seconda di Kang Yi-kwan, che invece fa del racconto dell'emarginazione e della disperazione sociale il punto centrale. Si narra di un ragazzino problematico, che fa la spola tra riformatorio e casa dove accudisce un nonno gravemente malato, unico parente, fino a quando ricompare dal nulla una madre che lo mise al mondo ancora ragazzina; è una lotta per la sopravvivenza che serve ai due per conoscersi, scontrarsi e maturare in un percorso fatto di tante ombre e poca luce, che comunque, anche se fievole, brilla nel finale. E' sicuramente un'opera valida che scansa trappoloni lacrimosi e mantiene sempre una lucidità apprezzabile. Molti in sala subiscono il colpo perché senza dubbio Juvenile Offender sa lasciare traccia.

Fa freddo, piove ed il riposo deve essere ristoratore, perché domani è sì un altro giorno, ma di quelli tosti e che richiedono spalle grosse.

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