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Una notte di 12 anni - Recensione

Dramma storico a forte impronta intimista, Una notte di 12 anni di Alvaro Brechner racconta i 12 anni della dittatura militare in Uruguay attraverso la storia di quelli che divennero in seguito eroi del Paese

Uruguay, 1973. Dopo un lungo periodo di turbolenze, un Colpo di Stato mette alla guida del Paese un gruppo di militari, soffocando la democrazia, destino comune a gran parte dei paesi della regione in quegli anni. La giunta militare si accanì soprattutto contro il movimento dei guerriglieri Tupamaros di ispirazione marxista-leninista, arrestandone gran parte delle figure di spicco. Alcune di queste videro ben presto trasformato il loro status da prigionieri in ostaggi da utilizzare come ritorsione in caso di azioni degli attivisti rimasti in libertà: infatti il regime li incarcerò in totale isolamento in condizioni durissime, sottoponendoli a violenze fisiche e soprattutto psicologiche; non potendoli uccidere e far sparire, per non attirarsi addosso le ire delle organizzazioni umanitarie e dei governi di molti paesi, la giunta decise di colpire i carcerati nel modo più feroce: annullarne la personalità e condurli alla follia.
Il caso volle che dopo 12 anni di carcere durissimo in isolamento e la caduta della giunta militare, una volta liberati, alcuni di questi Tupamaros divennero figure di grandissimo spicco nella politica del paese nei regimi democratici che si sono susseguiti fino ad oggi: Josè Alberto Mujica detto Pepe divenne dapprima senatore e quindi capo dello Stato nel 2010, Eleuterio Fernandez Huidobro, senatore anch’esso e ministro della difesa tra il 2011 e il 2016, Mauricio Rosencof, poeta scrittore e drammaturgo nonché anche politico della municipalità di Montevideo, sono i tre protagonisti della storia raccontata da Alvaro Brechner che vuole essere qualcosa di diverso dalla semplice biografia e dalla pura narrazione storica.
Indubbiamente il film del regista uruguagio ha la sua forte impronta di testimonianza storica, ma grazie ad una meticolosa analisi della personalità dei protagonisti e della loro reazione alla situazione vissuta per 12 anni, oltre alla spietata denuncia dell’ottusità del totalitarismo, Una notte di 12 anni (in originale La noche de 12 años) riesce ad imporsi anche come un grande racconto di sofferenza e di battaglia con se stessi e contro un nemico che cerca l’annientamento della personalità. Gran parte della pellicola è infatti la descrizione di una feroce guerra personale dei protagonisti contro la solitudine oltre che contro le sofferenze fisiche.
In alcuni momenti questi quadri di isolamento e di dolore si trasformano in autentiche sferzate di commozione (lo strano rapporto col sergente, unico volto umano dei militari, il passaggio sottolineato da una splendida versione di The Sound of Silence che inizia a mostrare ai carcerati lo spiraglio di luce in fondo all’interminabile tunnel), così come non mancano i momenti con cui il regista, attraverso il puro sarcasmo, sottolinea l’ottusità dei militari, i flashback che ci raccontano qualcosa di più dei protagonisti, le situazioni immaginarie, quasi oniriche che si affollano nella mente dei reclusi con le quali cercano di mantenere un flebile contatto con la famiglia.
Il film insomma gioca più sui sentimenti intimi e personali che su quelli nazionali o storici: attraverso la storia e la resistenza dei tre tupamaros Alvaro Brechner vuole rendere omaggio alla sofferenza patita dal suo popolo in quella interminabile notte della ragione durata 12 infiniti anni.

Il finale forse si carica un po’ troppo, cerca la lacrima facile e contrasta col resto del racconto che invece si mantiene sempre ad un livello quasi minimalista pur risultando potente e complesso nelle sue dinamiche, ma tutto sommato è un difetto veniale.
Il terzetto di attori, oltre che molto bravo, ha mostrato una disponibilità al limite del sacrificio nel dover perdere peso in maniera importante e poter esser credibili come mucchio di ossa imprigionate: Antonio de la Torre (Josè Mujica) si conferma attore di grande spessore e regala l’interpretazione migliore, ma anche Chino Darin (Mauricio Rosencof) e Alfonso Tort (Eleuterio Fernandez Huidobro) contribuiscono a dare spessore ai loro personaggi, in un film in cui è proprio la nettezza e la pulizia dei contorni dei protagonisti uno dei punti di forza.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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