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Sangue del mio sangue - Recensione (Venezia 72 - In concorso)

Dopo il Leone d'oro alla carriera, torna dietro la macchina da presa un vecchio maestro del cinema italiano: Marco Bellocchio. Nel suo nuovo lavoro dirige un'opera familiare che parla direttamente alla società d'oggi

Il contesto è un piccolo paese,  Bobbio, in Emilia Romagna. Qui in due momenti storici differenti accadono due azioni differenti.
Nella prima parte la storia è ambientata all'inizio del Seicento nel monastero della città. Qui giunge Federico, soldato, uomo d'armi intento a parlare con il frate che gestisce il convento per convincerlo a conferire al fratello gemello, prelato, da poco scomparso, il giusto funerale. Ciò non è possibile fino a quando Benedetta, sorella del convento, non ammetterà che è stata spinta dal demonio a sedurre il frate defunto. La donna, però, non si muove dal suo silenzio anche se torturata e infine murata viva.
In un'altra epoca più contemporanea il convento è ormai in disuso. È abitato da un misterioso Conte che qui si è rifugiato abbandonando la famiglia e tutto il mondo. Un giorno bussa al portone un sedicente funzionario della Regione che desidera vendere l'immobile a un facoltoso russo. Il Conte subodora l'inganno e riunitosi con i membri della società segreta cui appartiene, riesce a dissuadere il funzionario dall'acquisto. In fondo è sempre e solo una questione di soldi e i valori che governano la suora incarcerata non esistono più.
La premessa necessaria a Sangue del mio sangue è la seguente: Bobbio è un luogo molto caro a Marco Bellocchio. Oltre ad essere legato alla sua infanzia, qui ha girato il suo primo film I pugni in tasca e qui conduce ogni anno il suo workshop Fare Cinema. Ad ampliare il contesto di familiarità il regista piacentino per il suo nuovo film ha voluto nel cast: il figlio Pier Giorgio Bellocchio nel doppio ruolo di Federico e del funzionario regionale, la figlia Elena, il fratello Alberto nel ruolo di Federico divenuto in vecchiaia un cardinale che libera dalla prigionia Benedetta, Roberto Herlitzka (il Conte), Alba Rohrwacher e Federica Fracassi (le sorelle che ospitano Federco a Bobbio), Lidiya Liberman, Filippo Timi e Fausto Russo Alesi, tutti attori che hanno spesso recitato a teatro o al cinema con Bellocchio. Protetto da questa atmosfera familiare, il cineasta ha deciso di argomentare la pellicola sui valori che dominano nel passato e nel presente le relazione umane.
Il regista definisce il passato come un contesto in cui fedeltà, ideali, principi, relazioni avevano un significato ben preciso. Questi erano da difendere fino alla morte, come testimonia il personaggio di Benedetta o la caparbietà adottata dal giovane soldato nel comprendere la figura del fratello. Anche all'epoca esistevano le tentazioni, come dimostra la facilità con cui le sorelle padroni di casa si concedono a Federico, ma nella raffigurazione di Bellocchio ciò appare quasi naturale e innocente. Non si può dire la stessa cosa per la corruzione che domina la realtà di oggi. Nella porzione di film ambientata nel presente il denaro riesce a dissuadere il sedicente funzionario e a pervadere costantemente la mente e i desideri degli odierni abitanti di Bobbio. L'unico aspetto, l'unico valore che crea un ponte tra le due epoche è la bellezza. Questa si materializza prima nell'ostinazione e nella perseveranza del personaggio di Benedetta e nella seconda parte del film nella coppia di innamorati che conquista e fa sentire nuovamente vitale il Conte, fino a quel momento sepolto da principi non più validi. Il vero protagonista di Sangue del mio sangue è, quindi, Bobbio e tutto l'universo di valori che appartengono alla mente e alla storia del regista. Ciò si rivela nella pellicola attraverso una grammatica visiva che affascina e conquista per la sua semplicità. Lo spettatore si lascia trasportare nell'atmosfera e nel contesto da inquadrature concentrate sui volti e gli sguardi dei personaggi, da dialoghi scritti con parole misurate e precise e da una musica che punta a far emergere l'idea della scena.

Tutto ciò dimostra non solo la maestria di Marco Bellocchio nel creare immagini filmiche, ma anche  la missione etimologica del cinema di sensibilizzare, affascinare, stimolare chi osserva. 


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4

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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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