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Questi sono i 40 - Recensione

Il reparto commedia delle multisale si arricchisce di un nuovo capitolo. Questa volta la coppia romantica compie i 40 ed entra in crisi. Si sorride così così, ci si commuove solo se predisposti, c’è il tempo per consumare il mastello gigante di pop corn

Dalle Alpi al Pacifico va di moda far recitare le proprie donne. Come il nostro Federico Zampaglione, Judd Apatow, regista e produttore di fortunate commedie tra cui Molto incinta (di cui questo è una sorta di spin-off), affida alla moglie Leslie Mann il compito di rendere credibili e legare, con il suo peso attoriale, i siparietti che compongono la sceneggiatura. A lei è affidato, infatti, il carattere meglio definito del film, la moglie-madre-donna-sull’orlo-della-crisi-dei-40 Debbie.
E’ lei il motore della storia. Non vuole accettare la sua età (mente persino col ginecologo), impone a se stessa, al marito Pete e alle figlie drastici cambiamenti di abitudine (sui cibi, sui vizi, sull’uso delle tecnologie), si sforza, fallendo, di pensare e procedere in modo positivo nei rapporti col prossimo e, soprattutto, in quelli col coniuge. La storia si svolge nella settimana che precede la festa di compleanno di Pete, giorni in cui li compie anche Debbie ma che, ovviamente, non vuole si sappia. Accadrà di tutto: catastrofe economica di lui, litigio drammatico da separazione, scontro generazionale con la figlia tredicenne, recupero e perdono dei rispettivi padri scrocconi o assenti. Questo e tanto altro. Troppo.
Oltre due ore di commedia, per quanto arguta e gradevole, possono mettere alla prova anche il più devoto fan del genere. La ricerca continua della gag, col suo apporto di artificiosità che mal si sposa con le parti più intimiste, diluendosi in cotal minutaggio, si nota e crea intercapedine emotiva. Un po’ come quegli amici simpatici a tutti i costi che fanno venire il male alla mascella per il sorriso fisso cui ti costringono.
Se una commedia non coinvolge più di tanto, s’inizia a pensare.

Che cosa aggiunge Questi sono i 40 alle tonnellate di sit-com che sono passate, passano dalle reti via cavo americane ai nostri canali digitali? Le battute sono ben scritte, è vero, il cast è simpatico, bravo, va bene e poi? Le bambine, figlie del regista, deliziose, e allora? Tutto sa di grande distribuzione, di buon prodotto industriale con troppi zuccheri e emulsionanti dubbi che conservano e non permettono deteriorazioni o sorprese. Il vero protagonista, convitato di pietra evocato e sottolineato ma non esorcizzato, è, in fondo, il vuoto esistenziale che il modello di vita occidentale produce nei suoi aderenti. L’amore arriva, alla fine, a riscattare tutto ma ormai non ci si crede più. Lo abbiamo scomodato e sfruttato troppe volte per essere ancora credibilmente salvifico. Ormai ce l’hanno insegnato: quando in un film americano un attore dice all’altro ferito ‘Va tutto bene, va tutto bene’, sappiamo che da lì a poco creperà.

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