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Quell'idiota di nostro fratello

Una immagine di Quell'idiota di nostro fratelloJesse Peretz imbastisce una storia naif e bonacciona dentro una commedia dal fiato corto, il cui titolo idiota pare il solito parto dei nostri titolisti italioti, invece – sorpresa! – è pari, pari a quello originale

Ned è un figlio dei fiori cresciutello tanto ingenuo quanto barbuto che, dopo la galera – ci è finito per aver venduto marijuana a un poliziotto in divisa che gliela chiedeva, fatto di per sé non così idiota come ce lo spaccia la trama – e il tradimento della ex (che si tiene pure il cane) con un tizio assai più naif di lui, torna in famiglia: madre e tre sorelle sull'egoista andante: l'una cornuta, l'altra lesbica (ma non troppo), l'altra ancora arrivista. L’american family ritratta è la solita di sempre, a stampo, stereotipata nel suo essere sbilenca, quella che piace tanto al pubblico perbenista e garbato che ride(rà) complice (per blanda autocritica? no, perché ci rivede i vicini di casa). Ned, si diceva, ritorna all'ovile e scompiglia la vita del parentado, che se lo passa di casa in casa come ci si passa la sfiga, semplicemente raccontando la verità, tant'è che proprio dalla sua bocca incapace alle bugie partirà quella pillola di saggezza in agguato fin dall’incipit dietro ogni fotogramma: “…a me piace pensare che se dai fiducia alle persone, loro vorranno esserne all'altezza”. OK, pigliamo e portiamo a casa. Ma allora, sincerità per sincerità…
È un film in cui il regista preferisce buttarla in commedia, piuttosto che tenere alto il vessillo del genere, con molti sketch dal ritmo tivvù e qualche gag azzeccata (i colloqui post galera con l'agente di controllo, per esempio) e che se la cava, senza mordente, puntando sulla fisicità stralunata di un pacioso Paul Rudd a suo agio dentro le note country della colonna sonora. In quanto a Ned poi, beh, ci si aspetta sempre che si volti a favore della macchina da presa e ti snoccioli quell'adagio forrestgumpiano con cui ci hanno rotto le scatole (quelle tonde in pelle umana) per quasi due decenni: “Stupido è chi lo stupido fa”; sì, perché la zona è quella e lui un simil-Forrest Gump versione hippy fuori tempo massimo. Infine non manca l’happy end, tutto all'insegna del peace and love, che chiude laddove cominciava La Carica dei 101, così, sui titoli di coda, il pensiero corre a Crudelia De Mon, bastarda a tutto tondo. Qui, però, non si corre il rischio di ritrovarcela. Peccato.

Qui non c'è nessuno a far da contraltare al candore d'altri tempi (ma quali?) del protagonista, conciliante al pari della sceneggiatura.

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