Alì ha gli occhi azzurri (Festival di Roma 2012 - Concorso)
- Scritto da Jlenia Currò
- Pubblicato in Film in sala
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Tutto inizia con un motorino rubato e una rapina a mano ‘semi-armata’. I ladruncoli con l’espressione da bulli di quartiere sono Nader (Nader Sarhan), un ragazzo egiziano nato a Roma, e Stefano (Stefano Rabatti), il suo migliore amico. La vita degli adolescenti scorre lenta nella realtà della provincia capitolina, Ostia. Nader è di religione islamica ma, contrariamente alla sua famiglia, non si può definire ortodosso. Da questa divergenza che non riguarda soltanto la fede, ma una visione della vita, nasce il rifiuto della madre verso la relazione di Nader con Brigitte (Brigitte Apruzzesi), una ragazza italiana. Come un Montecchi del XXI secolo, Nader scappa di casa dando inizio ad una serie di eventi in cui di certo non sembra protetto da una buona stella.
Il regista Claudio Giovannesi ha voluto raccontare una storia sull’immigrazione tentando di ridurre all’osso il filtro della finzione. Usa diversi escamotage a questo fine. Viene sottolineato, attraverso evidenti didascalie, l’alternarsi dei giorni, tutto succede in una settimana. L’uso della cinepresa è opprimente. L'obiettivo si scontra con i personaggi piuttosto che soffermarvisi per approfondirli. Sebbene questo tipo di ripresa potesse risultare efficace in qualche scena, la scelta di renderla l’unica prospettiva concessa risulta stancante, anche in senso fisico. Al termine della proiezione sembra di sentire il peso della macchina da presa sulla spalla e ci si sente più cameraman che spettatori.
La storia è zoppicante, i ruoli non sono troppo convincenti e l’idea di ricordare nostalgicamente Pier Paolo Pasolini, dall’ambientazione del film al suo stesso titolo, è difficilmente rintracciabile.
L’interpretazione degli attori improvvisati ha un impatto particolare, da un lato risulta credibile, dall’altro sembra scontata vista l’inesperienza.
Il film restituisce quindi una realtà provinciale cupa, selvaggia, degradata che non lascia spazio ad alcuna speranza né tanto meno alla denuncia proprio perché il regista abdica, fin dal principio, ad assumere un proprio punto di vista, una presa di posizione. La sua mediazione tra la macchina da presa e gli attori, tra la realtà e il racconto, è praticamente inesistente e si ritorce contro il pubblico a cui, a conti fatti, non è affidato alcuno spunto di riflessione.
Presentato in concorso alla settima edizione del Festival del Film di Roma, Alì ha gli occhi azzurri non oscilla tra la realtà e le sue possibilità, ma si fa complice di un voyerismo che non dice nulla di più e nulla di meno. Più reality che realismo.
Presentato in concorso alla settima edizione del Festival del Film di Roma, Alì ha gli occhi azzurri non oscilla tra la realtà e le sue possibilità, ma si fa complice di un voyerismo che non dice nulla di più e nulla di meno. Più reality che realismo.