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Sergio Leone - L'italiano che inventò l'America - Recensione (Venezia 79 - Documentari sul cinema)

Ritratto del grande regista romano che con i suoi film ha re-mitizzato l’immaginario a stelle e strisce. Dalla rivoluzione del genere western a C’era una volta in America, un percorso artistico straordinario raccontato con prezioso materiale d’archivio e testimonianze illustri

Già presente nel 2018 con Friedkin Uncut, bel ritratto di uno dei maggiori esponenti della Nuova Hollywood, Francesco Zippel torna nella stessa sezione di Venezia Classici dedicata ai documentari sul cinema con Sergio Leone - L’italiano che inventò l’America. Pur sapendo già tutto o quasi del percorso artistico del grande regista italiano, con i suoi film visti e rivisti più volte da ogni appassionato che si rispetti, la visione del documentario risulta coinvolgente. Non può che essere così quando passano sullo schermo spezzoni dei suoi memorabili lungometraggi o si sentono i racconti dei familiari, il figlio Andrea e le figlie Francesca e Raffaella, di chi ha collaborato con lui, da Clint Eastwood a Robert De Niro, o semplicemente ama tantissimo il suo lavoro come i colleghi registi Steven Spielberg e Martin Scorsese.
Lo schema è quello del lavoro precedente di Zippel, con l’aggiunta delle parole dello stesso Leone recuperate da preziosi materiali d’archivio, e anche se tradizionale per questo tipo di documentari da apparire didascalico e televisivo poco importa. Ci si immerge volentieri in un pezzo di storia del cinema. Grandioso, epico, mitologico. Così lo intendeva Leone. “Il cinema deve essere spettacolo, è questo che il pubblico vuole. E per me lo spettacolo più bello è quello del mito. Il cinema è mito”. La frase riportata nel documentario, e non a caso presente come sintesi della sua filmografia nel sito della Leone Film Group, dice molto del pensiero e del lavoro del regista romano. Autore di un cinema unico e irripetibile, eppure seminale per come ha creato uno stile diventato per molti registi punto di riferimento. Il caso più emblematico quello di Quentin Tarantino. Noto ammiratore dei suoi film, fan entusiasta dei suoi western e tra i personaggi in particolare di Tuco, interpretato da Eli Wallach, in Il buono, il brutto, il cattivo. Lungometraggio che Tsui Hark, altro intervistato, racconta essere la visione che da ragazzo l’ha spinto a voler fare lo stesso mestiere. Sullo stesso film si concentra Frank Miller con un’interessante analisi della famosa scena del triello. Tra le testimoniante più significative, anche se sa di déjà vu, quella di Ennio Morricone che riesce bene a raccontare la loro collaborazione e il suo modo di comporre le musiche come già mostrato nel recente documentario dedicato al musicista da Giuseppe Tornatore. Pure lui coinvolto nel lavoro di Zippel che punta, come chiarisce il titolo, a mettere l’attenzione sul rapporto di Leone con l’America. La sua storia trasfigurata dal cinema e re-mitizzata giocando sul genere americano per eccellenza, il western, e poi sul gangster movie realizzando quel capolavoro che è C’era una volta in America.
Summa del suo lavoro, un sogno coltivato a lungo e realizzato solo dopo tanti anni. Una travagliata produzione, ma anche una difficile distribuzione con i tagli voluti dalla produzione americana, per un film indimenticabile. Un’opera dove ogni scena profuma di epica ed è avvolta da un senso di nostalgia. Anche per cose non vissute come ricorda commossa Jennifer Connelly, allora una bambina, che con rammarico dice che avrebbe voluto conoscere Sergio Leone anche da adulta. Il rammarico, come spettatori, è quello di non aver visto completato il progetto di un film sull’assedio di Leningrado che il regista stava portando avanti prima della morte nel 1989 a sessant’anni. Quel che resta, i tre lungometraggi della trilogia del dollaro e i tre della trilogia del tempo, basta e avanza per dargli un posto di rilievo nell’olimpo dei grandi del cinema.

Francesco Zippel ce lo ricorda con questa cavalcata nel suo percorso artistico. Un po’ didascalica e generalista, scava poco in profondità e nell’analisi filmica, ma pur sempre capace di scaldare il cuore degli appassionati di lungometraggi che sono entrati prepotentemente nell’immaginario collettivo.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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