Bones and All - Recensione
- Scritto da Davide Parpinel
- Pubblicato in Film in sala
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Maren è un adolescente con poche amicizie. Vive insieme al padre ai margini della società e tende a essere schiva nei confronti di tutti. Ciò è causato dalla sua natura, da quella fame carnivora che la attanaglia e che la costringe a fuggire di città in città in cerca di un po’ di pace. Dopo l’ultimo episodio di cannibalismo, il padre la abbandona e lei, armata solo di un walkman e di una musicassetta in cui lo stesso padre le racconta la sua storia, vaga alla ricerca di sua madre, l’origine forse di quella sua natura. Incontra il vecchio Sully che la introduce nel suo percorso di ricerca personale, e poi Lee, un giovane vagabondo dai sentimenti profondi a cui non piace parlare di se stesso. I due ragazzi scoprono l’amore e a bordo del furgone blu del ragazzo, percorrono strade secondarie, passaggi segreti, scappatoie e botole fino a quando il desiderio della ragazza di capire la sua natura la conduce alla presunta verità. Lee aspetta Maren, perché entrambi sono desiderosi di verificare se il loro amore può sopravvivere alla loro diversità e alterità.
Bones and All è una storia d’amore intensa e profonda che si consuma fino all’osso dei due protagonisti. Maren e Lee, interpretati rispettivamente da Taylor Russell e Timothée Chalamet, scoprono di amarsi perché uguali ossia perché sono mossi e scavati da un’intima e passionale ricerca di amore. Non è andata bene a entrambi con le rispettive famiglie d’origine, perché i genitori non sono stati in grado di capire la loro anima. Questa profonda fame d’amore, infatti, si esprime nel più brutale cannibalismo e trova le proprie origini per Maren nell’abbandono forzato da parte della madre, la matrice della sua natura e da un padre che, forse, non capisce intimamente i bisogni della figlia. Per Lee la situazione è diversa, perché il suo cibarsi in maniera ossessiva dei corpi è un oscuro scudo che lui pone tra sé, sua madre e sua sorella, contro il padre violento. A emarginare ancora di più i due giovani, ci pensa la società dell’America anni Ottanta sorretta dalle parole conservatrici ed escludenti del futuro presidente Reagan; in questo contesto non c’è spazio per l’alterità, per il diverso, per chi desidera visceralmente. Ecco che, quindi, Maren è costretta a vagare alla ricerca di non sa bene, probabilmente di sua madre, forse di un aiuto, forse di capire la sua anima. Incontra il vecchio Sully, la solita perfetta maschera interpretata da Mark Rylance, che la introduce a ciò che è, le permette di capire chi è e il suo bisogno di amore carnale, per poi costringere la ragazza a scappare da lui per la fissazione che l’uomo ha sviluppato nei suoi confronti. E poi Lee. Capelli rossi, vestito con indumenti logori e uno sguardo rassegnato e triste di chi deve scappare perché costretto, fa esplodere in Maren il suo desiderio. Si raccontano, si confrontano, si studiano e si completano nell’attesa di una vita insieme, integrati in quella società così refrattaria all’altro.
Luca Guadagnino in qualità di regista e narratore, ha sviluppato una particolare sensibilità a raccontare i sentimenti soprattutto degli adolescenti. È delicato e preciso quando narra l’intimo legame tra i due ragazzi; li lascia parlare, ponendosi alla giusta distanza, senza avvicinarsi troppo, per concentrarsi solo sul volto e sul corpo di Taylor Russell che risponde con una naturalezza, una libertà espressiva da attrice affermata. Lo sguardo di Guadagnino, infatti, si posa primariamente sulla protagonista, sulla sua carne, su quella voglia di vivere che contraddistingue l’età adolescenziale, di cercare l’impossibile, di voler ottenere tutto e dove gli unici mostri sono i sentimenti. Per questo la macchina da presa, come detto, è incollata a lei, come anche allo sguardo basso e tagliato di Lee. Nel confronto attoriale appare più convincente la Russell, è più viva, più naturale, invece Chalamet sembra interpretare la parte del giovane emarginato, coronato dalle sfumature rosse dei suoi capelli che lo fanno apparire più vampiro e meno umano. La sua prova è comunque valevole, soprattutto quando insieme alla giovane attrice soddisfano quel desiderio di Guadagnino di mostrare l’amore come l’ultimo dei sentimenti, come la frontiera più in là in grado di soddisfare le vite dei ragazzi, viaggiando felici per l’America. Questa è ormai la cifra del cinema del regista siciliano: il parallelo uomo-natura trova la sua più ampia spiegazione nelle infinite distese degli Stati centrali dell’America a cui il regista intesse in maniera indissolubile la spiegazione degli stati d’animo dei due protagonisti.
La visione di Bones and All, pertanto, non stanca mai. È un flusso di sensazioni ed emozioni che non risulta stucchevole nemmeno nelle scene più cruente di cannibalismo. Anzi questo elemento, se all’inizio può apparire disorientate e riluttante per chi guarda, nel prosieguo del film acquista un valore linguistico e narrativo ben preciso e ben motivato nelle vicende dei personaggi tanto da rendere comprensibile il suo valore metaforico. Ciò dipende in particolare grazie alla sceneggiatura scritta accuratamente da parte di Guadagnino e David Kajganich che si sono basati sulla novella di Camille DeAngelis. Bones and All è una storia semplice che racconta della semplicità di amare e di voler amare in un mondo complesso e ingarbugliato. Guadagnino è, infine, giunto alla piena maturità da regista; è più scarno, diretto, meno attento a dipingere fronzoli con la macchina da presa e più concentrato su ciò che il suo cinema vuole mostrare.
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Davide Parpinel
Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.