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Lucchetti di carne

Sergio Castellitto e Margaret MazzantiniSergio Castellitto, Penelope Cruz e Margaret Mazzantini presentano Venuto al mondo, in 350 sale italiane dall’8 novembre. Già da molto tempo, però, nella Capitale si vedono i volti della Cruz e di Emile Hirsch, con il titolo rosso in alto, che si allontanano sulla schiena dei bus

Con un peso ancora sul petto. Con le sensazioni del film impresse addosso come istantanee su una pellicola, ci si trova, nel mezzo di una stanza principesca a Roma, di fronte agli attori di Venuto al mondo. Al centro il regista, Sergio Castellitto, e la sua compagna nella vita e nel lavoro, la scrittrice Margaret Mazzantini dal cui omonimo romanzo  è stato tratto il film.  
 
La prima domanda è per Penelope Cruz che quando le si chiede cosa l’abbia spinta non solo ad avere una parte da protagonista del film, ma a proporsi lei stessa per ricoprire un ruolo nel lavoro che ha messo in scena i personaggi della scrittrice, risponde:
P.C.: Ho letto il libro e mi sono innamorata della storia, del personaggio. Ho sentito quasi la necessità di intraprendere questo viaggio con Gemma. Per me era praticamente diventata un’ossessione. È una cosa che non mi capita spesso, ma è lo stesso sentimento che avuto quando mi sono trovata a leggere Non ti muovere. 
 
Castellitto, Cruz e Mazzantini, seduti al tavolino di una caffetteria romana, hanno deciso di lavorare insieme al film. Quando ha letto il copione, Penelope Cruz, dice di avervi ritrovato “l’essencia”, l’essenza di quelle seicento pagine di cui è fatto il libro. La voce è sottile nelle esse piene e in quella pronuncia della 'c' con un leggero battito degli incisivi. È quasi timida, nel sorriso che, di tanto in tanto, le illumina il volto. Le viene fuori qualche comprensibilissima parola in spagnolo di cui cerca, indaffarata, la traduzione negli occhi del regista che le siede accanto. 
 
P.C.: Il desiderio di maternità di Gemma l’ho capito ancora prima di diventare io stessa una mamma - prosegue -. Certo, dopo che mi è successo ho capito ancora più profondamente il suo sentimento di mancanza. La sofferenza di quello che non può avere nella sua vita. È una cosa che qualsiasi donna può comprendere, pur non avendone fatto esperienza in prima persona. 
 
sergio-castellittoCome si è trovata nell’interpretare un personaggio un po’ diverso da quelli che interpreta solitamente, molto complesso e problematico?
P.C.: Gemma non è un personaggio che si definirebbe ‘politicamente corretto’. Ma questo per me non è un problema. Non mi chiedo se sono simile al personaggio da interpretare. Io voglio capire la psicologia del personaggio, il motivo per cui lei prende certe decisioni. A me interessa capire Gemma. Io non credo che lei fosse il tipo di donna che da bambina giocava con le bambole. Gemma matura questo desiderio, questa necessità, dopo il rapporto con il suo uomo. Quando, però, vede che il suo corpo non funziona, allora la maternità diventa un’ossessione. 
 
Poi è Margaret Mazzantini a prendere la parola di fronte alla domanda sul suo parere, in quanto autrice, riguardo l’adattamento cinematografico del suo romanzo. 
M.M.: Della storia abbiamo mantenuto l’ossatura, anche se ci sono cose di cui, per forza di cose, abbiamo dovuto fare a meno. Quando abbiamo scelto gli interpreti, Penelope non era proprio la persona che mi verrebbe in mente pensando a Gemma. Penelope aveva appena avuto un bimbo, quindi il suo seno prosperoso contraddiceva la sterilità di Gemma, eppure, questo contrasto ha reso quella di Penelope una delle sue migliori interpretazioni. 
 
Castellitto, la verità viene taciuta al figlio Pietro, perché?
S. C.: Pietro è un sopravvissuto. Questa è la storia di sommersi e di salvati. Di gente che ce l’ha fatta e di gente che non ce l’ha fatta. Pietro ha vent’anni e ha dei coetanei di Sarajevo che hanno vissuto l’esperienza della guerra. Per noi le persone che possono raccontarci questo tipo di storia sono di una generazione lontana da quella di Pietro. Questo non scava solo nella psiche sociale di ognuno di noi, ma anche nel modo di gestire i rapporti con le persone. In questo senso non dirgli la verità permette che lui si salvi. 
 
Pietro Castellitto, la tua vita privata era anche all’interno di questa esperienza professionale. Cosa c’è di te nel film?
P.C.: Io percepivo di non stare in un film, ma in un progetto che in qualche modo era la consacrazione del loro sposalizio a cui anch’io contribuivo. Era una tappa necessaria. E vederli ogni giorno, dopo le riprese, tornare a casa e sfiorare la separazione  - risata generale, occhi sgranati di mamma e papà - mi ha fatto percepire l’importanza di essere lì. Io ho letto il libro durante le riprese, quindi, probabilmente, ho conservato una certa ingenuità nell’interpretazione. 
 
cast-venuto-al-mondoSergio Castellitto, cosa ha cercato di comunicare attraverso il suo film?
S. C. : In questo film ho cercato di eliminare la fiction e lasciare un 'cinema' che passasse per una forte messa in scena e un’importante teatralità. Il cine-giornalismo ci ha guidati ad avere un uso dell’immagine di un certo tipo, nella letteratura visiva della guerra. Io ho cercato di fare un film dove ogni scena fosse depositaria di un avvenimento interiore dei personaggi. La nascita, la morte, il colpo di fulmine, la scoperta del sangue, dell’aborto, della guerra, dell’animalità. Io ho cercato di parlare all’intelligenza emotiva del pubblico. Questo è un film che vuole arrivare al pubblico nella sua dimensione più netta, più essenziale. Credo che il cinema debba prendersi sempre questa responsabilità, raccontare i fondamentali archetipi dei rapporti umani. La vita, la morte, la pace, la guerra, l’amicizia, la solitudine. In questo senso so che è un film molto ambizioso
 
 
 
 
 
 

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