La nave dolce, una triste pagina di storia italiana
- Scritto da Anna Maria Possidente
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Il mega sbarco dei clandestini albanesi nel nostro Paese, a distanza di vent’anni: l'autore di Diaz, Daniele Vicari, ha spiegato in un’intervista il perché di La nave dolce, un film-verità su questa pagina di storia italiana, presentato fuori concorso alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia. Il regista ha parlato del film insieme a Kledi Kadiu, il famoso ballerino che era in mezzo a quei circa ventimila disperati, disposti a tutto pur di arrivare nel nostro Paese a cercare fortuna.
Daniele Vicari, si inizia a raccontare una storia partendo da un dettaglio. Qual è stato il particolare che ha fatto nascere La nave dolce?
Daniele Vicari: Il dettaglio delle riprese televisive dell’epoca. Andando a rivedere le immagini dei diversi operatori televisivi, che hanno immortalato il cosiddetto 'sbarco dei ventimila', c’è stata una cosa che mi ha colpito: man mano le telecamere andavano nel particolare, dalla vista di insieme della nave fino a distinguere uno per uno i volti delle persone che erano a bordo, restituendo loro umanità e non facendoli sembrare solo una massa indistinta.

D.V.: Credo che il cinema documentario rappresenti una grandissima chance per la nostra cinematografia. La realizzazione del film ha richiesto tempi molto dilatati (infatti, nel frattempo è uscito Diaz) perché non è facile mostrare la realtà così com’è. D’altra parte, non vedo troppa differenza tra finzione e documentario e le due storie sono anch’esse simili: raccontano di conflitti tra le istituzioni, incapacità di gestire le situazioni di emergenza, insomma delle spaccature che purtroppo esistono in questo Paese.
Kledi Kadiu, com’è cambiata la visione dell’Italia in quei giorni successivi allo sbarco?
Kledi Kadiu: Radicalmente. Fino al giorno prima guardavamo la tv italiana sognando di poter essere anche noi parte del vostro Paese. Ma la pozione magica è svanita subito: appena siamo arrivati, carichi di speranze e di voglia di fare, ad attenderci c’erano i manganelli e dopo pochi giorni siamo stati rimpatriati. Personalmente, nonostante la prima brutta esperienza, ho deciso di tornare: a 17 anni non ti arrendi e per fortuna alla fine è andata più che bene!