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Ten Years Thailand - Recensione (London East Asia Film Festival 2018)

Quattro film brevi che portano la firma di Aditya Assarat, Wisit Sasanatieng, Chulayarnnon Siriphol e Apichatpong Weerasethakul, per un'opera omnibus che parla della situazione politica della Thailandia

Ten Years è stato un film “omnibus” di Hong Kong di cui si è molto parlato qualche anno fa, una raccolta di 5 cortometraggi che proponevano una visione di Hong Kong a 10 anni dalla data del film e, viste le ansie per il futuro di Hong Kong che lo avevano generato, non sorprende che siano tutte visioni di un futuro distopico. Censurato in Cina e proiettato in piazze e luoghi clandestini, diventò un fenomeno e simbolo del movimento di protesta di Hong Kong, detto 'il movimento degli ombrelli'. È stato un film importante a prescindere dai meriti cinematografici ed ora è stato trasformato in un progetto internazionale. Finora sono state prodotte la versione thailandese, giapponese e una taiwanese, tutte presenti al London East Asia Film Festival e nel circuito dei festival internazionali di quest’anno.
La versione thailandese è composta da quattro film brevi dei registi Aditya Assarat, Wisit Sasanatieng, Chulayarnnon Siriphol, Apichatpong Weerasethakul. I film sono introdotti dalla citazione di Orwell da 1984: “Colui che controlla il passato controlla il futuro. Colui che controlla il presente, controlla il passato” e cominciano tutti senza titolo e titoli di testa, alcuni sono riconoscibili dallo stile se si ha familiarità con il cinema thailandese (quello di Apichatpong Weerasethakul è inequivocabile).
Nel primo episodio, Sunset di Aditya Assarat, girato in un elegante bianco e nero, una pattuglia di militari è mandata a controllare una galleria d’arte che espone una mostra fotografica: ci sono state delle lamentele a riguardo e gli ufficiali devono controllare. Le foto esposte sono dei ritratti di gente comune in momenti di riso o di pianto, due espressioni spontanee di sentimento. Ma a detta dei militari tutto ciò può dar adito a 'incomprensioni' e alcune foto verranno rimosse. Parallelamente un giovane soldato amoreggia con una delle ragazze delle pulizie della galleria e nonostante la sua timidezza prende coraggio e apre il suo cuore. Il contrasto tra gli episodi sottolinea l’assurdità della repressione dei sentimenti e in un certo senso comunica un briciolo di speranza. Si sente anche una nota polemica sulla chiusura della Thailandia alla cultura di altri paesi, visto che sia l’artista nel film che il regista stesso hanno studiato all’estero.
Catopia di Wisit Sasanatieng, è forse l’episodio più fantascientifico e inquietante. Siamo in un mondo che ricorda molto la vecchia serie televisiva Visitors. In questo caso i gatti hanno sostituito il genere umano e solo alcuni umani riescono a nascondersi tra la popolazione felina, ma il rischio è quello di essere lapidati se scoperti. Questi gatti malvagi (ma allo stesso tempo distraibili con gomitoli di lana colorata) hanno un corpo umano e la testa felina e sono molto furbi. Il racconto illustra il doppio gioco di uno di loro per catturare un umano ed è un chiaro riferimento alla dittatura e alle brutalità e tradimenti che questa obbliga a fare per poter sopravvivere.
Planetarium di Chulayarnnon Siriphol è il più bizzarro di tutti. Più che un film, ricorda un’istallazione artistica dai colori pop e musica elettronica. Illustra un campo di addestramento di giovane reclute molto simili a boyscout e un governo militare capeggiato da una donnona in divisa-tailleur rosa che controlla la popolazione dal suo cellulare. Dissidenti vengono spogliati, colpiti da proiettili in uno spazio psichedelico e tritati. Ma niente paura, la seconda parte è animata in stile retro-kitsch e non c’è spargimento di sangue. A mio avviso il più debole degli episodi nonostante l’effetto ipnotico.
Song of the City di Apichatpong Weerasethakul fa molto riferimento al suo recente Cemetery of Splendour, i cui stessi elementi sono presenti qui. Lavori di costruzione, ruspe e cantieri circondano la statua del dittatore e primo ministro, Maresciallo Sarit Thanarat (colpo di stato del 1957) nel parco Ratchadanussorn a Khon Kaen su cui la telecamera si sofferma a lungo mentre passanti casuali parlano del più e del meno e un venditore cerca di piazzare una macchina che con un tubo produce un sonno rigeneratore e di bellezza (altro elemento tipico di Weerasethakul). Ci sono anche gli stessi dinosauri di pietra che popolavano Cemetery. L’episodio si conclude con una panoramica su un bassorilievo sul muro di cinta del parco rappresentante figure della politica e della casa reale mentre una banda suona in lontananza. Sotto una zanzariera un uomo dorme. Dei quattro episodi, questo è quello che meno sottolinea l’aspetto del futuro. Il sonno del popolo sembra essere il punto di snood, ma per Weerasethakul il sonno è anche sempre un veicolo di spiritualità e contatto con l’aldilà. Le ruspe intorno alla statua fanno pensare che qualcosa si stia muovendo nonostante la generale sonnolenza.

La Thailandia ha una situazione politica che sembra già una distopia così com’è, con un passato turbolento (19 colpi di stato), governata da una giunta militare sin dal colpo di stato del Maggio 2014 che ha abolito definitivamente la costituzione. Un Paese che ha avuto uno dei monarchi più longevi della terra, Rama IX che ha regnato per 70 anni e a cui è seguito il figlio Vajiralongkorn che ha rafforzato ulteriormente i poteri dei militari per tenere alla larga l’opposizione. Un Paese, inoltre, dove vige la pena di morte anche per traffico di droga e dove la lesa maestà è considerato uno dei reati più gravi. Non è un caso quindi che quasi tutti gli episodi di Ten Years Thailand siano incentrati sul controllo e la repressione. La sensazione generale è però che la raccolta manchi un po’ di mordente e satira e che l’episodio di Apichatpong Weerasethakul sia lì più per trainare il progetto in direzione internazionale che altro. Un po’ deludente.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

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