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Parasite - Recensione

Meritata Palma d'Oro a Cannes 2019 per Bong Joon-ho con Parasite, riflessione sotto diverse prospettive delle contraddizioni della società coreana e della lotta di classe

La famiglia di Ki-taek è il tipico emblema del sottoproletariato urbano, brutti, sporchi e cattivi. Vivono in un seminterrato malsano dove la vista migliore che si gode dalle grate delle finestre è quella degli ubriachi che urinano. Ki-taek e la sua famiglia vivono del sussidio di disoccupazione: lui è un ex autista che ogni tentativo intrapreso di reinserirsi nel mercato del lavoro è finito in maniera tragicomica, la moglie, da buona sudcoreana fa, la casalinga, il figlio Ki-woo ha fatto per quattro volte l’esame per essere ammesso all’università fallendo miseramente, la figlia Ki-jung nutre stravaganti aspirazioni artistiche, ma di fatto non fa nulla se non aiutare la famiglia che tira avanti con lavoretti occasionali, come quello di assemblare scatole per la consegna delle pizze. Nonostante ciò all’interno della famiglia sopravvive una certa allegria e ci si accontenta di riuscire a scroccare una connessione wi-fi priva di password di accesso.
Il signor Park invece appartiene all’alta borghesia del Paese, importante manager di un'azienda di punta, vive con la moglie, un figlio maschio in età fanciullesca e una femmina in età scolastica in una magnifica casa ideata e costruita da un grande architetto da cui l’hanno comprata. Una famiglia di quelle da copertina che vive con tutti i comfort che la ricchezza può offrire.
Come potranno mai interagire due realtà così distanti, appartenenti a mondi che vivono a distanze siderali sebbene confinanti apparentemente? L’occasione la coglie al balzo Ki-woo, che viene inviato da un suo amico in partenza per un viaggio di studio a sostituirlo come insegnante di inglese della giovane figlia di Mr Park. Il giovane che è di certo povero ma ricco di ingegno brillante, riesce con una serie di stratagemmi a far sì che tutta la famiglia venga assunta dai Park: dapprima la sorella che si spaccia per insegnante d’arte e che deve aiutare il piccolo rampollo di casa Park ad esprimere il suo ingegno artistico che traspare da alcuni disegni, poi tocca a Ki-taek che viene assunto come autista grazie ad un imbroglio ai danni del precedente e quindi anche la moglie viene accolta nella splendida casa dei ricconi come governante al posto della storica factotum di casa Park alle cui spalle viene ordito un altro imbroglio finalizzato al suo licenziamento.
Insomma dei parassiti veri e propri verrebbe da pensare, ed in parte è vero, non fosse però che anche dalla parte della borghesia così attenta al suo status sociale i comportamenti non sono certo più limpidi, anzi addirittura la splendida casa nasconde dei misteri insondabili. Sta di fatto che la famiglia di parassiti si insinua nella vita dei Park, ne prende il controllo, ne scopre i segreti più reconditi, ma quando tutto sembra giocare in loro favore arriva il colpo di scena che sovverte il corso degli eventi.
Il crescendo finale all’insegna del tratto violento e parossistico che il cinema coreano sa bene esprimere a vari livelli è l’esplosione di una contraddizione sociale che né i parassiti né la famiglia per bene (parassita anch’essa perché si nutre delle miserie altrui e le disprezza) è in grado di arginare.
Vincitore con merito della Palma d’Oro e soprattutto riconoscimento sacrosanto del talento di uno dei registi più bravi del cinema coreano che già tante opere ci ha regalato (alcune anche superiori a questa), Parasite è, dopo Snowpiercer, un’altra riflessione di Bong Joon-ho sulla società coreana e sul tema della lotta di classe; il ritorno all’ambiente cinematografico più strettamente coreano ha dato uno slancio al regista che lo ha portato a dirigere un film che per certi aspetti e fino ad un certo punto si struttura quasi come un divertissement di generi, grazie alla fusione di commedia sociale, commedia satirica con forti influssi dark, thriller, dramma sociale, in un'armonia che permette ai vari canoni utilizzati di agire armoniosamente per la riuscita dal punto di vista narrativo della storia.
La descrizione di un proletariato urbano emarginato, perdente, disposto a tutto pur di emergere dalla palude in cui si trova impantanato, impegnato in un continuo tentativo di cambiare una realtà dura, si scontra con quella di una borghesia capitalistica priva di morale, che nasconde dietro il suo mondo artefatto e pieno di benessere apparente un vuoto e una capacità cannibalesca di annientare tutto in nome della sua difesa. Su questo dualismo Bong costruisce gran parte del film, descrive la differenza delle classi, ne tratteggia le peculiarità all’interno della società coreana moderna sempre più priva di identità e pericolosamente assimilata a quella occidentale fino all’inevitabile durissimo confronto come farebbero due che si picchiano a mani nude in mezzo alla strada fino a che ne rimane in piedi uno solo.
La visione di Bong è carica di sarcasmo e se la borghesia capitalistica non esce certo bene, anche il proletariato urbano mostra un volto che è quello dell’arrivismo, dell’aspirazione semplicemente a sostituirsi al suo interlocutore nel godimento del benessere: una lotta di classe ben diversa quindi dall’ottica marxiana, ma che porta al medesimo risultato, lo scontro violento e senza appello.

E’ solo nel finale in crescendo e convulso che Parasite soffre di qualche difetto generato soprattutto da situazioni forzate e finalizzate alla creazione di un epilogo ideologico, difetto quest’ultimo non del tutto trascurabile. Per la gran parte del film Bong riesce brillantemente a variare i registri in maniera mirabile, armato di un equilibrio che ben contrasta con la frenesia di alcuni momenti. Per tale motivo il riconoscimento a Parasite deve essere inteso prima di tutto come l’affermazione stilistica di un grande regista (non è probabilmente questo il motivo della Palma d’Oro…), che nelle tematiche e nella sua cifra stilistica ha saputo scrivere grandi pagine nel cinema moderno.
Il gruppo di attori è molto ben assemblato, e se su tutti, come sempre, brilla il fedele Song Kang-ho nella parte di Ki-taek, anche Lee Sun-kyu nel ruolo di Mr Park e Jo Yeo-jeong nella parte della moglie, svolgono bene il loro compito di borghesi benpensanti e contraddittori, così come Choi Woo-sik, Jang Hye-jin e Park So-dam, rispettivamente figlio, moglie e figlia di Ki-taek, appaiono più che credibili come perdenti in cerca di un tragico riscatto.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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