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Lettere di uno sconosciuto - Recensione

Una immagine di Lettere di uno sconosciuto, film di Zhang Yimou con Gong Li e Chen DaomingSi riforma dopo nove anni la coppia più rappresentativa del Cinema Cinese moderno: Zhang Yimou racconta una storia intima calata nel dramma della Rivoluzione Culturale che allunga la sua ombra negli anni. Gong Li è la musa del regista che regala una prova intensa e per certi versi sorprendente

Hanno scelto la prestigiosa e alquanto rassicurante platea del Festival di Cannes 2014 per riformare uno dei binomi più famosi che è stato per tanti anni l’emblema del cinema cinese: Zhang Yimou e la sua musa Gong Li dopo nove anni tornano a lavorare insieme e già questo è sufficiente per creare pathos intorno a Lettere di uno sconosciuto, ultima fatica del regista cinese, lavoro intorno al quale si è scritto di tutto in fase di giudizio artistico. (Il film sarà presentato in anteprima nazionale a Roma e Milano nel corso della rassegna che ripropone alcuni titoli della selezione cannense 2014).
Molte delle critiche che vengono rivolte a Zhang riguardano il suo eccessivo allontanamento dalle tematiche che impregnavano i suoi film fino ad un decennio fa e il suo ammorbidimento rispetto al potere politico, una sorta di abiura in favore di tematiche meno impegnative; osservazione che lascia il tempo che trova perché il tempo, appunto, passa, il mondo intorno a noi cambia e rimanere aprioristicamente ingessati nelle proprie idee artistiche non ha più alcun senso: è vero, Zhang probabilmente è pacificato con il potere forte del suo Paese, ma non per questo il giudizio sui suoi film deve essere condizionato.
Tale premessa si rende necessaria perché Lettere di uno sconosciuto è film che si presta facilmente alla trappola ideologica e, come aveva fatto con il meno convincente Under the Hawthorn Tree, il regista cinese parte da una precisa localizzazione storica per poi inserirvi una storia personale che inevitabilmente entra in collisione coi fatti accaduti in quegli anni.
Siamo in piena Rivoluzione Culturale. Lu è un professore marchiato come 'destrorso' e inviato ai lavori forzati nel deserto del Gobi, la moglie Yu attende da anni di rivedere il marito e la figlia Dandan in pieno ardimento rivoluzionario non perde occasione di ripudiare il padre, la sua passione è il balletto e spera di fare parte come protagonista di una rappresentazione epico-propagandistica che si sta preparando. La ragazza è la più brava ma siccome il padre è appena fuggito dal campo  di rieducazione, il ruolo da protagonista non sarà suo e quasi per rabbiosa vendetta informerà gli organi del partito sul luogo e il giorno in cui i due genitori si incontreranno furtivamente. Tre anni dopo la Rivoluzione Culturale finisce e Lu ufficialmente riabilitato, ma al suo ritorno a casa la moglie è in preda ad una sorta di demenza precoce e quindi non riconosce l’uomo, per il quale inizia una lunga e dolorosa odissea nel tentativo, con l’aiuto della figlia che ha ormai messo da parte il fervore rivoluzionario, di riportare uno spiraglio di memoria in Yu , la quale da parte sua ogni 5 del mese imperterrita si reca alla stazione ad attendere il ritorno del marito.
Che il film sia anzitutto una storia drammatica che affonda le sue radici in quel periodo che per tanti versi e per tante persone fu uno dei più tragici della storia cinese, è chiarissimo fin da subito quando il regista si guarda bene dall’usare una prospettiva politica, semmai il suo sembra più un racconto lucido e distaccato di quelli che furono anni nei quali persino i legami famigliari venivano calpestati in nome di una fervente utopia che ben presto mostrerà i suoi limiti. Poi la storia si adagia in modo sempre più palese sul racconto intimo di un amore che non riesce a ritrovare se stesso e la sua pienezza e che nonostante tutto però è sopravvissuto ad ogni sconvolgimento; è un amore però che si fonda sui ricordi raccontati dalle lettere di Lu dalla prigionia e tenute nascoste, un amore che vive del ricordo di una mente devastata che ha dovuto subire ogni forma di violenza psicologica e non solo e di un uomo che al ritorno si vede negato anche il calore consolatorio della famiglia.
Vero che qualche volta Zhang calca un po’ la mano sugli aspetti più melodrammatici, quelli di più facile presa, ma è anche vero che la sua regia, inutile dirlo pulitissima, ispirata e tecnicamente perfetta, regala dei momenti spettacolari (la scena della cattura alla stazione, il ripetersi della scena di Yu che va ogni 5 del mese alla stazione). Che il regista cinese appartenga di diritto alla schiera, ristretta, dei grandi Maestri viventi, è fuori dubbio, che Lettere di uno sconosciuto non sia certo il suo migliore film lo è altrettanto, ma non voler riconoscere negli ultimi anni una chiara svolta rispetto alle tematiche raccontate è altrettanto fuori di dubbio un errore grossolano, nutrito dal concetto molto 'occidentale' che nasce da certi circoli festivalieri secondo cui il cineasta cinese in genere debba essere necessariamente un regista 'contro'.

Da sottolineare infine la grande prova di Gong Li, su cui i truccatori hanno dovuto lavorare sodo per renderla invecchiata e col viso spento dalla demenza, cui fa da degno compare Chen Daoming in una interpretazione solida e molto sentita.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

1 commento

  • azerus
    azerus Lunedì, 23 Marzo 2015 16:09 Link al commento Rapporto

    mi sono avvicinato al cinema orientale grazie proprio ai film della coppia zhang yimou-gong li quando ero abbonato alla mitica Tele+, l'unica che portava in tv un po' di cinema non esclusivaente hollywoodiano. sono contento del loro ritorno, speriamo lo distribuiscano anche nella mia piccola città (pisa)!

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