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As the Gods Will - Recensione (Festival di Roma 2014 - Gala)

Takashi Miike dimostra ancora una volta di sapere regalare lavori validi, anche quando non raggiungono le vette presenti nella sua sterminata filmografia: As the Gods Will diverte e regala sprazzi di cinema frenetico e dal forte impatto visivo

In occasione dell'assegnazione del Marevick Director Award da parte del Festival del Cinema di Roma, Takashi Miike presenta alla rassegna romana in anteprima mondiale il suo nuovo lavoro As the Gods Will, che se non altro ha il pregio di dare una sferzata di energia ad una manifestazione che stenta a decollare, troppo spesso dominata dalla confusione e dalla noia.
Non era difficile prevedere ciò: Miike, anche quando i suoi lavori non sono di fattura indimenticabile, riesce comunque ad essere mai ovvio e dozzinale e a regalare pellicole che hanno qualcosa per cui farsi apprezzare. As the Gods Will non viene meno a questa regola e al momento risulta probabilmente il miglior film visto in tutto il festival.
Giocando un po' con il suo passato cinematografico e un po' con quel Battle Royale che qualcuno annovera tra i lavori imprescindibili del cinema giapponese, Miike racconta una storia frenetica, ricca di ritmo, di ironia e di tematiche nascoste.
L'inizio è folgorante: una intera scuola in balia di un Daruma, una bambola tradizionale giapponese che comanda un gioco tipo il nostro "Uno, due, tre, stella!", che fa saltare la testa a chi perde, inondando la classe di palline rosse che sgorgano al posto del sangue dai corpi acefali.Il gioco fa parte di una battaglia ad eliminazione che vedrà in seguito altre prove letali con un gattino porta fortuna gigantesco, quattro bambole Kokeshi letali e un orso bianco enorme che sembra pietrificato e che ha come scopo quello di selezionare un manipolo di eletti, figli di un Dio che aspira a controllare il mondo sorvolandolo all'interno di un gigantesco parallelepipedo bianco. La prova finale invece riserba un confronto con le Matrioske di tradizione russa che con la loro embricazione stanno a rappresentare le varie componenti che permettono il successo nella vita, compresa la fortuna.
Come detto il film ha un ritmo notevole, regala immagini che fanno sfoggio di effetti speciali considerevoli, è ricco di battute cariche di ironia e va ad indagare alcuni aspetti della società giapponese, soprattutto riguardo i giovanissimi e la noia che li pervade: "Mio Dio, per favore ridammi i miei giorni noiosi", ripete spesso il protagonista di fronte alla vita trasformata in un letale e appassionante videogame, proprio a sottolineare, come spesso fa il regista giapponese nei suoi lavori, la preoccupante deriva degli adolescenti giapponesi e della società in generale che corre dietro ad un pericoloso materialismo. Il Dio comunque alla fina avrà i suoi eletti figli, lo vedremo compartire sul finire nella penombra, lasciando aperte tracce amplissime per un sequel che probabilmente non mancherà nei prossimi anni, anche perché il manga da cui il film è tratto di fatto non ha ancora visto la sua fine.
Sebbene As the Gods Will non possa annoverarsi tra le pietre miliari che hanno segnato la carriera di Miike, dalla sala si esce tutt'altro che delusi: la forza visiva del film, la lezione di regia impartita e il divertimento che procura la visione sono elementi che consentono all'opera del regista giapponese di incassare un giudizio positivo.

Mostrando ancora una volta la capacità di saper dirigere attori giovani spesso all'esordio, Miike getta nell'arena due volti che colpiscono: quello di Sota Fukushi e quello di Hirona Yamazaki, già vista qui a Roma in The Devil's Lesson dello stesso regista, pienamente a loro agio in ruoli in cui ha fondamentale importanza la coincidenza di età, o quasi, con i protagonisti. Poi, come sempre con Miike, ci sarà chi grida all'eccesso, alla provocazione e alla ricerca della scena disturbante: francamente, qualora fosse così, ne siamo lieti, se non altro il suo è un cinema vivo.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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