Extra festival ed eventi: speciali, interviste e approfondimenti

Ti trovi qui:HomeFestival ed eventiExtra festivalIncontro con Kim Jee-woon e Park Chan-wook al London East Asia Film Festival 2016

Incontro con Kim Jee-woon e Park Chan-wook al London East Asia Film Festival 2016

Abbiamo incontrato i due registi sudcoreani in occasione della prima edizione del London East Asia Film Festival: Kim Jee-woon ha parlato del suo ultimo lavoro The Age of Shadows, Park Chan-wook - a cui è dedicata una retrospettiva - si è soffermato su The Handmaiden con una nota un po' ilare sulla presenza di animali tentacolari nei suoi film

L’atteso ritorno del London East Asia Film Festival con una edizione a tempo pieno è stato inaugurato con un Operning Gala in Leicester Square, la piazza dei red carpet. E infatti la stessa sera, nell’angolo opposto della piazza si svolgeva la prima di Jack Reacher: Punto di non ritorno e Tom Cruise in persona era intento a firmare autografi e fare selfie con i fan. Ma Tom Cruise non è riuscito a distogliere l’attenzione dal LEAFF che ha fatto il tutto esaurito con il film di apertura The Age of Shadows, portando sul red carpet una selezione dei registi e attori che durante il festival presenteranno i film e risponderanno alle domande del pubblico. Quasi ogni film del LEAFF ha infatti un Q&A finale con registi, attori e produttori.

Sul tappeto rosso dunque sono passati, per la gioia dei fan, il regista del film di apertura, Kim Jee-woon, il regista Park Chan-wook a cui è dedicata una completa retrospettiva, i giovani attori Kwon Yul e Han Ye-ri del film Worst Woman, l’attrice filippina Hasmine Kilip del film in concorso Pamilya Ordinaryo, e altri personaggi e produttori accolti da una visibilmente emozionata Jeon Hye-jung, direttrice del festival che ha inaugurato la serata confessando di aver avuto un incubo la notte precedente in cui si trovava davanti una sala vuota, ma fortunatamente la sala era stracolma ed entusiasta.
Dopo il film The Age of Shadows, il regista Kim Jee-woon e il produttore Choi Jae-won hanno parlato di alcuni aspetti del film. Kim, che ha dimostrato di saper saltare da un genere all’altro con continuità di stile e sostanza, è un personaggio divertente: il regista ha dichiarato subito di non essere molto bravo in discorsi filosofici ma piuttosto capace di far ridere. In effetti ha saputo tenere la chiacchierata su un livello allegro nonostante il soggetto di The Age of Shadows sia molto drammatico. Kim ha sottolineato che il film è ispirato a fatti realmente accaduti, che però nella realtà si sono conclusi in modo molto più tragico della trasposizione cinematografica, ovvero con il totale fallimento della missione partigiana. Il film infatti è ambientato in uno dei momenti più dolorosi della storia coreana, alla fine degli anni Venti, nel pieno della dominazione giapponese.
Kim, che ha firmato anche la sceneggiatura, ha aggiunto che si era preposto dall’inizio di questo progetto di stemperare un po’ la storia per renderla più accessibile ad un pubblico internazionale e per evitare di riaprire una ferita mai rimarginata nel popolo coreano. C’è infatti qualche nota comica e qualche tono glamour nei travestimenti, nel godere di un pasto e una bevuta in gruppo e soprattutto nel viaggio in treno che prende la parte centrale del film. Questo, spiega Kim, è frutto di una sua riflessione sulla vita di quegli eroi partigiani della Resistenza che erano coscienti di vivere alla giornata e per cui ogni giorno in più era regalato e da vivere come fosse l’ultimo godendo al meglio di ogni momento. Ciò ha anche influenzato la scelta degli attori, per primo il grande Song Kang-ho, che con la sua bravura ed esperienza ha potuto coprire la complessa varietà di emozioni richieste dalla parte del protagonista tormentato tra patria e dovere, tra cuore e razionalità. E ancora nella scelta del giovane Gong Yoo, visto in Train to Busan, che ha un’immagine più fresca ma decisamente affascinante, e del carismatico Lee Byung-hun che ha un ruolo piccolo ma di grande impatto.
Kim ha tratto ispirazione da tutta la letteratura sulla Guerra fredda, romanzi come La spia che venne dal freddo e La Talpa, e ha pensato che la tensione tra Corea e Giappone fosse lo sfondo ideale per riposizionare quell’atmosfera, ma purtroppo man mano che la narrazione del film procede la Guerra diventa sempre più… calda.
Su una nota aneddotica Kim ha raccontato che il treno che ospita la parte centrale dell’intreccio è stato ricreato in studio. Sei vagoni montati su molle e i tecnici sul tetto a saltellare per ricreare il movimento del treno. I poveri malcapitati hanno passato settimane su quei tetti al punto che alla fine lo facevano con tale naturalezza che nel frattempo giocavano distrattamente sugli smartphone.
Come era facile aspettarsi da un esploratore di generi come lui, Kim ha svelato che il prossimo film sarà un noir fantascientifico tratto dall’anime Jin-Roh: The Wolf Brigade di Mamoru Oshii (autore del più conosciuto Ghost in the Shell). E immagino che il suo remake sarà meno controverso di quello hollywoodiano di Ghost in the Shell, ma sicuramente di gran qualità.

La sera dopo è stata la volta dell’opening dell’ampia retrospettiva dedicata a Park Chan-wook con la proiezione del bellissimo film The Handmaiden, anch’esso seguito da una chiacchierata con il regista.
Park, sempre sorridente, ha parlato dell’inizio della sua carriera, quando scriveva di cinema e su come sia stato il film Vertigo a convincerlo e a dargli il coraggio che mancava a intraprendere la carriera di filmmaker. “La sensazione di vivere dentro un sogno guardando James Stewart e Kim Novak correre in macchina e sentirmi dentro quella macchina con loro, questo mi ha dato la spinta a fare film”.
Il libro Fingersmith (da cui è tratto The Handmaiden) gli era stato dato dalla moglie del produttore ed era rimasto subito molto colpito leggendolo. In particolare da una scena ambientata in un teatro dove la ladruncola borseggia gli spettatori, tanto che in fase di produzione l’aveva ricostruita e ri-ambientata in un tempio. Purtroppo però non è stata usata nella versione finale. La ragione per cui Park ha voluto ambientare la storia in Corea-Giappone è perché nell’originale le due protagoniste devono superare un grosso ostacolo, ovvero il divario di classi sociali, per vivere il loro amore e il regista ha voluto aggiungere un ulteriore intralcio al percorso per drammatizzare ancor più la storia ed enfatizzare il risultato. E cioè la provenienza da due Paesi non solo diversi, ma che si odiavano l’un l’altro. E a questo proposito aggiunge che lui non si è mai tirato indietro o limitato quando c’era il bisogno narrativo di violenza o dramma, perché solo spingendo ai limiti si ottiene una vera e propria catarsi.
Park ha poi parlato delle prove e di quanto ritenga importante che i suoi attori spendano molto tempo insieme, come è avvenuto, in questo caso, soprattutto con le due donne protagoniste. Kim Tae-ri, la ragazza più giovane, essendo una novizia del mestiere, si è volentieri accodata all’attrice più esperta, Kim Min-hee, e non la lasciava mai, la chiamava la sua sorella maggiore. Le scene di sesso tra di loro sono state girate per prime, così le attrici si sono potute togliere subito il pensiero, rilassare e continuare a lavorare più serenamente.
Alla domanda se la sceneggiatrice donna (Chung Seo-kyung) fosse stata scelta di proposito per questo film, ha risposto che lei ed il resto del suo team sono con lui da lungo tempo, da Oldboy, ma che in questo caso particolare Chung gli ha dato molto coraggio in certe scelte difficili della realizzazione del film.
Al momento delle domande dal pubblico non era rimasto molto tempo e sono state scelte solo un paio di mani alzate. Personalmente avrei voluto sapere qualcosa sulle reazioni in patria di un film con tematiche esplicitamente lesbiche vista la posizione molto conservatrice della Corea del Sud su temi LGBT, ma invece al regista è stato chiesto perché fosse ossessionato dai polpi! (Diciamo pure un’occasione sprecata per tacere…). L’espressione serafica che Park ha costantemente sul volto, si è per un attimo incrinata. Facile immaginare le migliaia di volte che ha dovuto rispondere a commenti sul polpo di Oldboy! L’estensione della sua risposta ha tradito il fastidio, ma gli ha anche dato modo di concludere con una nota comica. Ha spiegato che in lingua coreana il polpo di Oldboy e la piovra di The Handmaiden hanno due nomi differenti (non come in inglese) e quindi lui li considera due animali diversi, inoltre servono per due scopi diversi. In Oldboy, il protagonista è stato rinchiuso e non ha avuto nessuna interazione con un essere vivente per ben 15 anni e il polpo vivo esprime la sua disperata voglia di sentire la vita in qualcosa che sia altro da sé. In The Handmaiden invece la piovra è funzionale per richiamare alla mente una ben nota stampa erotica giapponese e in questo modo ha potuto non mostrare nulla e lasciare tutto all’immaginazione del pubblico. Per finire Park ha dichiarato che se gli serviranno altri tentacoli nei suoi prossimi film, per evitare di essere definito un maniaco di polpi, userà seppie o calamari!




Adriana Rosati

Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.

Lascia un commento

Assicurati di inserire (*) le informazioni necessarie ove indicato.
Codice HTML non è permesso.

Questo sito utilizza cookie per il suo funzionamento. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. Se vuoi avere maggiori informazioni, leggi la Cookies policy.