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Far East Film Festival 2013: tiriamo le somme

Foto di Paolo JacoboUno sguardo critico, incantato e affascinato sul Far East Film Festival 2013, la rassegna dedicata al cinema popolare asiatico che si è appena conclusa ad Udine, raccontata da chi per nove giorni ha assaporato il mondo orientale attraverso le immagini del grande schermo


Promossi e bocciati. L'accorato, addirittura commosso, appello fatto da Sabrina Baracetti, direttrice del FEFF, al termine della serata conclusiva della rassegna udinese, fotografa alla perfezione la situazione nella quale la manifestazione è costretta a dimenarsi per poter mettere in piedi un Festival degno di tal nome. L'anno scorso fummo salutati con la previsione nefasta che le troppe nubi che aleggiavano sul FEFF ne avrebbero addirittura compromesso lo svolgimento. Per fortuna anche quest'anno la kermesse è andata in porto, ma in fase di commento conclusivo non si può non tenere conto di questa situazione difficile in cui gli organizzatori sono stati costretti a lavorare.
La premessa è d'obbligo, soprattutto per confutare quelle che sono state alcune delle critiche mosse al FEFF quest'anno e cioè che si sia trattato di una rassegna in tono minore e qualitativamente scarsa: l'essere riusciti comunque a mettere i piedi un festival di buon livello, perché così è stato in effetti, ne amplifica il giudizio positivo finale per lo meno riguardo al programma. Vero che non c'erano i grandissimi nomi che avevano caratterizzato con la loro presenza ad Udine le edizioni scorse e vero anche che le selezioni di alcuni paesi, ad esempio il Giappone, hanno lasciato parecchio a desiderare, ma è vero anche che la qualità media dei lavori presentati è stata tutt'altro che disprezzabile.
Diverso il discorso riguardo ai riconoscimenti assegnati: il film vincitore del Gelso d'Oro, How to Use Guys With Secret Tips del coreano Lee Won-suk non è certo un capolavoro né il film migliore tra quelli visti, ma nel contesto di cui si nutre il FEFF, festival del cinema popolare per definizione, la vittoria della commedia coreana non è uno scandalo. Lascia un po' più sorpresi invece il riconoscimento assegnato dagli accreditati Black Dragon a Touch of Light del taiwanese Chang Jung-chil, lavoro poco più che sufficiente, oltretutto proiettato in una sala semivuota alle ore 9 del mattino, ma tant'è, il giudizio delle giurie è insindacabile, a maggior ragione quando si tratta di voti raccolti dagli spettatori.
Nel dettaglio, buona la selezione cinese che ha mostrato film che spaziano in un largo ventaglio di generi, in cui i migliori sono sembrati The Last Supper di Lu Chuan, tragedia epica, shakespearianamente parlando, e la commedia brillante, autentico fenomeno della stagione cinematografica cinese, Lost in Thailand di Xu Zheng, oltre all'immersione nel cinema più autoriale offerta da Zhang Yuan con Beijing Flickers e Wang Jing con Feng Shui.
Taiwan ha offerto la consueta rassegna di commedie romantiche, tra le quali GF*BF di Yang Ya-che e Apolitical Romance di Hsieh Chun-yi sono sembrate quelle che offrivano un tocco di originalità in più.
Ip Man - The Final Fight di Herman Yau ha conquistato il pubblico festivaliero ed in effetti è tra i migliori lavori presentati da Hong Kong, cinematografia che soffre di una chiara crisi di identità, essendo mancato per la prima volta il classico action-movie: la selezione ha mostrato lavori di vario genere, dall'epico alla commedia, senza però lasciare il segno indelebile.
A parte l'attesissimo Comrade Kim Goes Flying di Kim Gwuang-hun, lavoro nordocoreano che ha suscitato estrema simpatia, il cinema coreano ha regalato qualche bel lavoro, ma anche qualche film onestamente inguardabile: buoni gli action-movie The Berlin File di Ryoo Seung-wan e New World di Park Hoon-jung, degni di nota National Security di Chung Ji-young (film di denuncia e di memoria), la storia adolescenziale-famigliare Juvenile Offender di Kang Yi-kwan e la commedia agrodolce EunGyo di Jung Ji-woo, a dimostrazione di un certo ampliamento del panorama di generi da parte degli autori coreani.
Le delusioni più grosse vengono dal Giappone che, a parte The Floating Castle di Inudo Isshin, Rurquini Kenshin di Otomo Keishi e See You Tomorrow Everyone di Nakamura Yoshihiro, ha regalato lavori molto controversi quali A Story of Yonosuke di Okita Shuichi e I Have to Buy New Shoes di Kitagama Eriko e altri totalmente deludenti quale The Complex di Hideo Nakata e It's Me It's Me di Satoshi Miki, sui quali il pubblico si è fortemente diviso nel giudizio.
Detto che della pattuglia filippina probabilmente merita la menzione solo la commedia musicale I Do Bidoo Bidoo di Chris Martinez, la Thailandia, nonostante il premiato Countdown di Nattawut Poonpiriya (secondo posto) e nonostante la selezione numericamente corposa, ha regalato ben poche soddisfazioni con lavori che già sono nel dimenticatoio.
L'appuntamento è quindi per il prossimo anno, crisi e ristrettezze economiche permettendo, convinti, sempre e comunque, che il FEFF costituisca un patrimonio cinematografico-culturale inestimabile da difendere con le unghie e con i denti. (Massimo Volpe)

Foto di Paolo JacoboGreetings from Far East Film Festival. A Udine ci sono pochi ristoranti giapponesi o cinesi e più in generale di cucina orientale. Dovrebbero essere molti di più e dislocati in posizioni più strategiche, soprattutto più favorevoli ai frequentatori del Far East Film Festival.
E' frustrante passare giornate intere nel Teatro Giovanni da Udine a guardare ore di pellicole del cinema popolare asiatico in cui gli attori mangiano, bevono e conversano seduti a tavola e non poter correre fuori dalla sala verso un qualsiasi ristorante per soddisfare questa voglia inconscia.
Questo è il dramma. Il solo colpevole è il Far East Film Festival.
Ciò è dovuto al fatto che il C.E.C. Centro Espressioni Cinematografiche, ossia l'organizzatore della più importante vetrina europea per il cinema popolare asiatico, immerge completamente il pubblico nella cultura e nella civiltà asiatica, attraverso una proposta cinematografica ampia e diversificata.
I film proposti al Festival, infatti, provengono da tutte le produzioni cinematografiche dell'Estremo Oriente. L'offerta è eterogenea, varia nei generi, multilinguistica, strutturata in modo tale che il pubblico nello stesso giorno possa guardare un film giapponese, poi coreano, poi thailandese. Il che permette di comprendere i differenti stili cinematografici, gli usi e costumi dei diversi popoli e, anche, capire e distinguere i differenti idiomi.
Vedere i film proposti dal FEFF significa, quindi, osservare un mondo composto da storie quotidiane, da riflessioni sul presente e approfondimenti storici, da incroci di destini, drammi e felicità, molto simili ai nostri. Il cinema del Far East permette all'Oriente di raccontarsi all'Occidente attraverso la proposizione in immagini del loro mondo. Questo, in fondo, è uno dei segreti del cinema, che affascina e incuriosisce lo spettatore e su cui si basa il Festival di Udine.
E' normale, dunque, uscire dall'unica sala in cui si svolgono le proiezioni e continuare a parlare di film, registi, attori. Esprimere considerazioni sulla qualità artistica di una pellicola con il giornalista tedesco o con gli universitari di Parigi VIII o ancora con l'udinese che considera il FEFF la vetrina culturale più importante della sua città. E' facile e stimolante conversare con Herman Yau, grande regista di Hong Kong, o con il giovane regista thailandese Chookiat 'Matthew' Sakveerakul dei loro film o dei lavori futuri, magari bevendo qualcosa, disponibili a conversare con chiunque, seduti nell'atrio del Teatro. E' l'atmosfera di conoscenza culturale insita nel Far East Festival che permette di poter isolarsi per 10 giorni dal mondo, vivere nell'isolamento felice del Teatro e conoscere e capire con un'esperienza diretta e viva il mondo asiatico.
Tra una chiacchiera, un film e una discussione con il regista, dunque, ci si dimentica anche della voglia di cibo orientale e si rimane a mangiare qualcosa di veloce, pur di assaporare e vivere questa magica atmosfera. (Davide Parpinel)

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