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Tom à la ferme - Recensione

Tra dramma, thriller psicologico, opera esistenziale con qualche venatura horror, Xavier Dolan porta in concorso un film apprezzabile, teso ma dove non tutto sembra essere completamente a fuoco

Canada. Un giovane pubblicitario arriva in piena campagna per un funerale e scopre che laggiù nessuno conosce il suo nome né la natura della sua relazione con il defunto: Guillame. Il fratello maggiore di quest’ultimo, Francis, però lo capisce subito e impone a Tom, con la violenza, un gioco di ruolo per proteggere la madre e l’onore della famiglia dalla verità: l’omosessualità del ragazzo morto.
Tratto da un’opera teatrale, Tom à la ferme è un film non facile da catalogare: parte come un dramma, si tinge di thriller, tra il psicologico e l’esistenziale, dissemina qua e là qualche brivido horror. Una macchina dunque complessa che Xavier Dolan, giovane regista canadese (24 anni), fatica però a tenere lungo una strada giusta, precisa come quella che nel film porta alla fattoria dove si sviluppa la storia. Nelle pianure del Quebec, in un mondo agricolo lontano dalla città, da quella Montreal da dove arriva Tom. Un mondo aspro, duro, ottuso, brutale ma vitale che ammalia il protagonista devastato dalla perdita del suo amato e in cerca di un’identità smarrita. Tra campi di masi, mungitrici e vitelli, sembra trovare il senso di utilità della propria vita, l’avvicinamento a un mondo più vero. Ma persiste la contraddizione della necessità della menzogna, di mentire sull’omosessualità.
All’inizio quello della denuncia delle discriminazioni sessuali sembra essere il tema portante del film. Poi questo però non assume un’importanza centrale: man mano che passano i minuti l’attenzione si concentra sulla relazione di passione e paura, di amore e odio, tra Tom e Francis. I primi piani molto stretti, la sensazione di luogo senza via d’uscita, una colonna sonora adatta allo scopo, rendono il film sicuramente teso. Eppure, complice anche qualche passaggio di sceneggiatura discutibile, con alcuni comportamenti dei protagonisti che appaiono poco motivati, e personaggi non molto empatici, il film non riesce a incollarsi addosso allo spettatore come dovrebbe.

Un’opera apprezzabile, ma non ancora quella della consacrazione per il talentuoso autore canadese.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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