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Sherlock Holmes – Gioco di ombre

Una immagine del filmRobert Downey Jr. veste di nuovo i panni dell’astuto detective Sherlock Holmes, in un’avventura investigativa al cardiopalma in cui deve vedersela con una mente criminale che progetta di sconvolgere gli equilibri mondiali alla fine dell’Ottocento. A dirigerlo per la seconda volta è Guy Ritchie

Fine Ottocento. L’Occidente è ad un passo dallo sprofondare nel caos più totale: strani avvenimenti turbano la pace tra i popoli. Una lunga scia di omicidi eccellenti nel mondo dell’industria e di esplosioni terroristiche nelle capitali europee stanno provocando scompiglio nei rapporti tra le élite di molti Paesi. Sherlock Holmes, rinomato investigatore londinese, è convinto che gli eventi sanguinosi non siano frutto della casualità, bensì di un preciso progetto di morte e distruzione. Il detective crede infatti che dietro le morti e le esplosioni ci sia un mandante: il professor Moriarty, una mente criminale che progetta di sconvolgere gli equilibri mondiali per il proprio tornaconto. Aiutato dal fido dottor John Watson, Holmes intraprende una pericola avventura investigativa in giro per l’Europa per smascherare i piani malvagi di Moriarty.

Due anni fa avevamo salutato con grande entusiasmo la scelta di affidare a Robert Downey Jr. i panni di Sherlock Holmes. Ma con Sherlock Holmes – Gioco di ombre, seconda puntata targata Guy Ritchie sulle gesta del celebre detective creato da Sir Arthur Conan Doyle, si è andati troppo oltre la voglia di modernizzazione del personaggio, lavorando non tanto sulla definizione della sua figura quanto sugli intrighi in cui è coinvolto, facendo così perdere di vista allo spettatore ogni punto di riferimento letterario e non. Il guaio è che non si può dire che la trama sia delle più chiare: il soggetto, del resto, non importa granché.
Stracolmo di mistero, azione ed avventura, il film è girato con la solita mano sapiente di Ritchie ed è dislocato in set di gotica suggestione nei quali, però, mancano i tre ingredienti decisivi del primo episodio: il citazionismo cinefilo, la freschezza visionaria e la novità del tono. Tutto sa un po’ di già visto, non solo nel tipo di approccio figurativo, ma soprattutto nel delicato equilibrio tra autoironia dei personaggi, ritmo indiavolato e sottotesto vintage: alquanto difficile, insomma, che i caratteri, i costumi, le musiche e gli effetti speciali provochino le stesse piacevoli sensazioni del prototipo.
Sherlock Holmes non decolla quasi mai: regala solo bei momenti. Eppure i tasselli per un buon mosaico ci sono tutti, se non fosse che la sceneggiatura firmata dal duo Michele e Kieran Mulroney – entrambi al loro secondo script per il cinema – sembra non metterci mai troppa convinzione. E il film così rimane ‘medio’, utile per una serata di intrattenimento, ma imperfetto ed incompleto.

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