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Quattro notti di uno straniero

Il cinema della mente, forse della presunzione: partendo dal plot, praticamente inesistente, che offre allo spettatore solo un vago spunto di quel che andrà a vedere, alla concezione stessa del film, opera seconda di Fabrizio Ferraro

Attingendo dichiaratamente a piena mani da Notti bianche di Fedor Dostoevskij, si presuppone che Quattro notti di uno straniero si basi sul racconto di una storia d'amore, ma di fatto ciò che vediamo sullo schermo è un susseguirsi ossessionato di immagini in bianco e nero, con assenza quasi totale di dialoghi e tempi dilatati allo sfinimento. La regia di Fabrizio Ferraro non riprende ma 'pedina', fa da stalker, 'ossessiona' i soggetti che vede, fornendo una visione al 90% di spalle, dove non si incontra mai lo sguardo degli unici due attori in scena.
La protagonista è una Parigi mediocre, sporca, lontana dal romanticismo in cui è stata sempre immersa nella storia della cinematografia, che si riempe solo di un uomo e una donna che camminano. Camminano in un montaggio lento, estenuante, quasi esasperato, dove si viene costretti a vagare con la mente pur di non perdersi tra ripetizioni che farebbero chiudere le palpebre anche al cinefilo più ardito. Un'unica ripresa della durata di dieci minuti, dove non si vede nient'altro che la Senna e le luci della sera, poteva essere un modo elegante e sofisticato di rappresentare lo scorrere del tempo, la filosofia bergsoniana e il fascino dei luoghi che mutano, ma di fatto resta un duro colpo per chi siede sulla poltrona di una cinema.

Purtroppo il principio primo di questo film (riportare il cinema ad un piano quasi esclusivamente visivo) si esaurisce in un mero esercizio di stile vuotato di ogni sentimento, dove lo spettatore - sotto tortura - assiste ad un'operazione autoreferenziale piena di boria e arroganza. Un giudizio duro, soprattutto quando in realtà gli intenti filosofico-letterari dovevano essere alti (e altri): ma quando la sperimentazione si spinge troppo oltre, rischia di diventare presunzione. Ed è ciò che succede a Quattro notti di uno straniero, che supera di poco (ma quel poco che fa la differenza) la linea tra intellettuale e intellettualoide, attirandosi incomprensioni e antipatie più che altro critiche.

 

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