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G.I. Joe - La vendetta

Il regista coreografo Jon Chu sfrutta al meglio il fascino del 'doppio', all’origine del successo dei famosi giocattoli della Hasbro, firmando un action movie fracassone e divertente

Chi, nei bei giorni andati delle ginocchia sbucciate, ha avuto per le mani gli snodati e accessoriatissimi pupazzetti dei G.I. Joe, sa che il plus di questi personaggi era che a ogni buono corrispondeva un cattivo di pari spessore, a volte quasi speculare, come nel caso di Snake-eyes e Storm Shadow.
Sull’onda di questa reminiscenza, Jon M. Chu costruisce il suo film: un sosia (Zartan) del presidente degli Stati Uniti, fa massacrare i G.I. Joe, accusandoli di tradimento e facendo insediare al loro posto l’unità Cobra, ossia i G.I. Joe cattivi. I pochi superstiti, tra i quali Roadblock (un sempre più possente Dwayne Johnson) e Lady Jaye, insieme a Snake-eyes, in missione recupero del suo bianco alter ego, partono alla riscossa per impedire a Cobra Commander di conquistare il mondo.
L’esile trama è il pretesto per una sequenza, forse un po’ troppo prolissa, di ottime scene d’azione, con esplosioni, combattimenti corpo a corpo e sparatorie, ben coreografate, montate e in un caso, quello del combattimento appesi alle funi sui monti, originali e mozzafiato. Gli effetti 3D sono funzionali e l’apporto di due divi come l’immortale Bruce Willis e il tartarugato coreano Lee Byung-hun fanno da garanzia al prodotto.
Inutile cercare psicologismi o intimismi. Inutile chiedere verosimiglianza o logica strategica. La narrazione scorre nei muscoli e al cervello non sono richiesti altri che indulgenza e abbandono. Solo l’idea del Doppelgänger, come si è detto, ronza per la testa come una delle lucciole esplosive del film: a 'The Rock' si oppone l’altrettanto enorme Ray Stevenson; Storm Shadow e compare sono fratelli di spada; il comandante Cobra è, a suo dire, un doppio del presidente americano. La battaglia manichea tra Bene e Male è esplicitamente un gioco di ruolo (gli aguzzini dei Cobra incarcerati ne sono l’ambiguo esempio) ma la consapevolezza è priva di conseguenze, come tra bambini. L’inquietudine del doppio non evoca narcisismi psicanalitici o orrori gotici ma la coscienza, o forse semplicemente l’ignaro sentire, che tutto è finzione e che, per citare un Paul Newman di annata, “non esistono buoni o cattivi ma tutto dipende dalle circostanze”.

Curioso che, in tutto questo florilegio di doppi, al tavolo delle potenze nucleari, nel finale del film, sedesse solo il rappresentante indiano e non il dirimpettaio pakistano.
Dimenticanza o volontà di non turbare le 'spotless mind' del pubblico statunitense?

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