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Il cacciatore di giganti

Giacomino e il fagiolo magico nella bambinesca avventura firmata Bryan Singer. A dispetto dell'inutile 3D, la pseudo-adultizzazione hollywoodiana degli archetipi fiabeschi ne azzera suggestioni e inquietudini, rendendo quanto mai piatta una narrazione che non decolla mai

La favola di Giacomino e il fagiolo magico appartiene a quel filone in cui l'eroe è uno sciocco, un sempliciotto la cui mancanza di malizia lo porta a rompere la precaria (e spesso triste) 'normalità' e a far irrompere nel suo mondo (che è poi il nostro) il mostruoso, il soprannaturale. Sono storie in cui gli elementi ricorrenti (il 'povero di spirito', l'orco o la strega, le prove da superare) si prestano a diversi livelli di lettura, come evidenziato dai tanti studi sull'argomento, da Propp in avanti.
Il nuovo genere hollywoodiano della fiaba rivisitata (Biancaneve, Hansel e Gretel, Oz, tra i più recenti), asfalta ogni suggerimento realmente adulto dato dagli esegeti per consegnare, a un non ben definito pubblico di bamboccioni consumatori di pop corn, prodotti del tutto simili, intercambiabili, con i loro effetti e personaggi digitali, un 3D coatto e ingiustificato, battaglie da videogame e razionalizzazione degli elementi più disturbanti, spesso chiave, delle storie (ne Il cacciatore di giganti, ad esempio, l'assurdità dello scambio del cavallo con i fagioli, diventa il pegno dato da un monaco fuggitivo).
La storia è presto detta, il contadino Jack (il cresciuto ma sempre sfigato Nicholas Hoult di About a Boy) incontra la bella principessa Eleanor Tomlinson proprio mentre uno dei fagioli magici si bagna e cresce fino al regno dei giganti trascinandola con sé. La principessa viene scoperta e imprigionata. Jack e una squadra di soccorritori, tra i quali il guascone Ewan McGregor, risalgono la pianta per salvarla ma l'antipatico cattivo Stanley Tucci, il migliore del cast, ha con sé una corona che gli dona il dominio sui giganti e medita di sfruttarli per conquistare la Terra. Il resto è battaglia stile Il Signore degli Anelli per le due ore canoniche di questo occhiuto blockbuster senza poesia né cervello ma con tanta pianificazione industriale.

Bryan Singer, complice il fido sceneggiatore Christopher McQuarrie, fa il suo mestiere con professionalità ma sbaglia completamente il target di riferimento, puntando, con umorismo a base di caccole e scoregge, a un pubblico da scuola elementare per spaventarlo poi con tensioni da horror e qualche rivolo splatter (non a caso negli States è stato vietato ai minori di 13 anni).
Il risultato è un mezzo fiasco commerciale, quasi il contrappasso per aver ignorato l'insegnamento fondamentale della fiaba originale: la fortuna aiuta gli audaci.

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