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Un giorno devi andare

Giorgio Diritti è tornato. Dopo cinque anni ha rimesso in spalla la macchina da presa per girare un film che si impossessa dello spettatore scena dopo scena perché basato su ciò che davvero governa l'animo umano


Augusta ha 30 anni. Ha lasciato sua madre e sua nonna in Italia per trasferirsi in Brasile. Prima al seguito di suor Franca e di un gruppo di missionari, successivamente da sola. Va a vivere, così, nell'abitazione di una famiglia nelle favelas di Manaus; entra nella vita della comunità, lavora con gli altri abitanti, crede nella loro sopravvivenza, nonostante la politica di urbanizzazione del governo brasiliano. Un giorno la scomparsa di un bambino rompe questa bella armonia e la giovane è costretta a tornare in viaggio. Naviga fino a un'isola deserta. Qui la donna è da sola e può interrogare la sua anima, prima di partire nuovamente.
Giorgio Diritti, sceneggiatore e regista di Un giorno devi andare, propone la storia di una donna, interpretata da una convincente Jasmine Trinca, in fuga dalla sua vita, dal suo passato, da una società agiata. Catapultata in una vita quasi primitiva, Augusta è costretta a compiere un viaggio interiore di maturazione e confronto con la propria vita. Narrativamente sembrerebbe una storia già sondata nel cinema, ma non se in mano a Giorgio Diritti. Il suo stile, la sua maniera filmica rendono la pellicola originale, affascinante e stupefacente.
Il regista narra una storia di finzione che sullo schermo appare reale. Le parole, i gesti degli attori, gli scenari sembrano ripresi dal vero. I rapporti umani che la protagonista instaura con gli abitanti della favelas, sono emotivamente sentiti anche dallo spettatore, perché costruiti da una voglia di conoscersi alimentata da sentimenti ed emozioni quasi tangibili, tanto autentici. Le voci dei protagonisti sembrano vibrare realmente quando dialogano perché intrise di timidezza e voglia di scoprire.
Per questo, nonostante Diritti dissemini la pellicola di rimandi, anticipazioni narrative, metafore con la funzione di illustrare allo spettatore lo svolgersi delle azioni, la storia non appare scontata. Lo sviluppo degli eventi è pervaso dall'imprevedibilità, come nelle emozioni umane. Il rapporto sentimentale che Augusta intesse con un ragazzo della favelas è un sentimento puro, autentico. Le loro azioni non cascano mai nel banale, ma sono composte da un mix di timidezza e voglia di stare insieme tipica di due giovani innamorati. Anche la fede di Augusta sembra vacillare realmente. Non riesce a credere in una Chiesa che appare sullo schermo incastrata in rituali prefissati e monotoni. La vita umana si muove al suo interno meccanicamente, proprio come nella società italiana. Questa è fredda, stereotipata, sempre uguale; azioni e parole sono scandite da una finta decisione e le emozioni perdono il calore umano, al contrario della vita in Brasile. Augusta ricerca qui relazioni sincere con tutti gli essere viventi che la circondano. Per questo è immersa in una natura concreta, viva, rigogliosa che si adatta alle emozioni e ai suoi sentimenti, perché ciò che li unisce è un sentimento empatico vero e reale.

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