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Just the Wind

Dopo il bellissimo Womb, Benedek Fliegauf si conferma regista di grande spessore con un film cupo, carico di angoscia, di silenzi e di dolore: il racconto dell'odio razziale che annienta e atterrisce


"E' stato il vento, dormi…" , sono le ultime parole che precedono di qualche minuto il drammatico finale, fatto solo di buio, di lampi nella notte e di grida: quel vento però inizia a soffiare lento fin dall'inizio del film, monta costantemente, avvolge la storia di colori lugubri e di tenebre nelle quali si muovono con angoscia crescente i protagonisti del racconto.
Una storia in cui sembra già tutto scritto e che vive nell'attesa del suo epilogo, in cui le ombre si muovono guardinghe e in cui i tre protagonisti hanno il loro destino scritto in faccia: la faccia di chi vive nella discriminazione e nella paura, di chi non osa guardare dritto negli occhi, di chi affronta il clima di odio che li circonda con rassegnazione e qualche colpo di coda dell'istinto di sopravvivenza.
Ispirandosi a fatti realmente avvenuti fra il 2008 e il 2010, Benedek Fliegauf, già autore del bellissimo Womb, e premiato allo scorso Festival di Berlino con il Gran Premio delle Giuria, racconta la storia di una famiglia Rom, travolta dal crescente odio xenofobo nell'Ungheria moderna, avviata verso un pericoloso nazionalismo razzista: in quegli anni numerosi furono gli attentati contro la comunità rumena con svariati morti e feriti.
Riproposto di recente dalla Cineteca di Bologna, Just the Wind è il racconto dell'ultima giornata di una famiglia, proprio poche ore dopo che una comunità famigliare vicina è stata sterminata da sconosciuti: una giornata che inizia nel buio dell'alba appena rotto dai primi raggi di sole e finisce nel buio della notte; in mezzo c'è una giornata come tante di Mari, la madre che si prende cura del genitore malato, di Anna sedicenne taciturna che sogna di raggiungere il padre emigrato in Canada e di Rio, ragazzino ribelle e solitario, l'unico che sembra rendersi conto della pericolosa situazione in cui si trovano. La giornata passa con la macchina da presa a mano che placca i movimenti dei tre, al lavoro, per strada, a scuola, in giro per i boschi e mostra il clima di sottile disprezzo che circonda i tre.
Film secco, durissimo, dilatato nel tempo dei seppur brevi 86 minuti, in cui Fliegauf sembra avere a cuore solo il racconto scarno di una situazione al limite della sopravvivenza; in Womb aveva portato i confini del mondo sulle spiagge dei mari del nord, qui i limiti sono in una foresta nella quale sorge la casa della famiglia Rom, un ambiente ostile che non regala nulla, che ben si incolla alla scarsa affettività che permea il film, dove l'atto più umano cui assistiamo è la sepoltura da parte di Rio del maialino unico sopravvissuto allo sterminio della famiglia a loro vicina e che il ragazzino trova morto nel bosco.
Benedek Fliegauf
, a dire il vero, in un sussulto di pietas, regala un altro momento di fredda umanità nella scena all'obitorio che chiude il film, ma questo è forse l'unico mezzo passo falso del film che per il resto è bello nella sua tragica cupezza in cui il regista decide di immergerlo.

Dopo Womb, Fliegauf conferma di essere regista di grande spessore, capace di raccontare in modo apparentemente scarno, privo di slancio, ma in realtà profondissimo, storie belle che sanno lasciare il segno in maniera indelebile.

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