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Una separazione

La locandina di Una separazioneDue coniugi sulla via del divorzio: lei progetta di fuggire all’estero per un futuro migliore, lui si rifiuta di abbandonare le sue radici. Asghar Farhadi filma la cronaca di un interno familiare che mette a nudo una società iraniana divisa tra fuga dalle responsabilità e senso del dovere. Orso d’oro al Festival di Berlino 2011   
Teheran, oggi. Nader e Simin sono una coppia di coniugi con una figlia a carico: lui è un impiegato di banca, lei una insegnante. Il loro matrimonio è al capolinea: Simin vuole fuggire a tutti i costi all’estero per assicurare un futuro migliore alla figlia Termeh, ma il marito non ha alcuna intenzione di seguirla perché non se la sente di abbandonare il padre affetto da Alzheimer. In attesa che un giudice si esprima sulla loro richiesta di divorzio, Simin e Nader iniziano a condurre due vite separate: l’uno deve prendersi cura della figlia e del padre rimasti a vivere con lui, l’altra continua a coltivare il progetto di un futuro fuori dai confini dell’Iran andando a vivere a casa della madre. L’arrivo di una badante molto religiosa al fianco dell’anziano genitore malato diventa causa di molti guai per Simin e Nader, costretti a fare i conti con le rigide convenzioni sociali della realtà iraniana.

Legami familiari, eredità culturali, scontro tradizione-modernità, ruolo dell’educazione: c’è tutto nell’Iran raccontato da Una separazione (vincitore dell’Orso d’oro e dell’Orso d’argento per le migliori interpretazioni maschili e femminili al 61esimo Festival di Berlino), senza fare sconti a nessuno e senza fare retorica o, peggio, identificando virtù e virtù con questo o quel personaggio. Anzi, lo sforzo del regista Asghar Farhadi (che aveva già riscosso molti consensi con About Elly) è quello di offrire a ognuno la possibilità di essere il più autentico possibile, mettendo in campo, con mano sicura e leggerezza, una giustezza di gesti ed una veridicità di dialoghi davvero ammirevole.
Una immagine del filmLa storia del divorzio di una coppia ai ferri corti si trasforma lentamente in una parabola morale di stampo neorealistico: vi si avverte nel sottotesto la cronaca di un interno familiare che vuole mettere a nudo i contrasti di una società iraniana divisa tra fuga dalle responsabilità e senso del dovere. L’impressione è quella di un affresco potente che si muove da un escamotage metaforico, con un respiro profondo ed ampio, fatto di un lavoro certosino con gli attori e sul set. Grazie al suo piglio documentaristico, sostenuto da uno sguardo incollato ai movimenti, alle espressioni ed ai corpi dei protagonisti, Farhadi muove la macchina da presa come se fosse munito della miracolosa capacità di disvelare la realtà attraverso le relazioni uomo-donna e quelle generazionali.
Distendere una vicenda dotata di eccellente tenuta formale ed amara umanità, così semplice in superficie ma in realtà così densa di significati simbolici, in un film di poco più di due ore che tiene lo spettatore incollato allo schermo fino all’ultimo, è un risultato notevole. Nel suo rigore, nella sua onestà e nella necessità del racconto Una separazione è un’opera a tutto tondo.

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