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Hysteria

La locandina inglese di HysteriaCome nacque il primo vibratore elettrico, dalla sua genesi al suo utilizzo per fini esclusivamente terapeutici. Ce lo racconta Tanya Wexler, con una commedia in costume che fa rivivere sullo schermo un’epoca di grandi cambiamenti sotto il profilo del progresso ma anche del costume

Siamo alla fine dell’Ottocento. Londra sta lentamente cambiando pelle, emancipandosi dai tabù dell’era vittoriana sotto l’impulso dei cambiamenti nei costumi portati dal progresso nelle scienze. Mortimer Granville, un giovane medico rimasto senza lavoro, si ritrova al centro dei mutamenti della società londinese quando accetta di diventare assistente nello studio del dottor Robert Dalrymple, il più grande specialista di medicina femminile della città, assurto a pioniere nel trattamento dell’isteria, considerata uno dei mali dell’epoca, grazie ad una pratica del tutto particolare: per curare il disturbo, le sue pazienti vengono sottoposte ad un massaggio terapeutico manuale degli organi femminili fino a raggiungere il punto del parossismo, ovvero del rilassamento del sistema nervoso. Lavorando fianco a fianco con Dalrymple, Granville apprende tutti i suoi segreti professionali, ma ha anche modo di iniziare a far parte della sua vita privata entrando in confidenza con le sue due figlie, Emily e Charlotte, una posata e dai modi gentili, l’altra vulcanica ed irruenta, le cui diversità caratteriali lo portano a riflettere sul suo ideale di donna. Un giorno, però, il ragazzo scopre di essere afflitto da continui crampi alle mani e quindi di non poter più soddisfare le sue pazienti. Perde il lavoro, ma non si dà per vinto: nel tentativo di colmare il suo handicap, escogita un congegno elettronico avveniristico, quello che passerà alla storia come il primo vibratore femminile. Da quel momento la sua carriera ha un nuovo slancio.

Una immagine del filmFilm di apertura della competizione ufficiale della sesta edizione del Festival del Film di Roma, Hysteria fa rivivere sullo schermo un’epoca di grandi sconvolgimenti sotto il profilo industriale ma anche della morale comune, raccontando come nacque il primo vibratore elettrico nell’Inghilterra vittoriana. Fare un saggio in forma filmica sulla componente sessuale dei rapporti umani, però, è l’ultima delle intenzioni della regista Tanya Wexler: l’approccio alla materia non è affatto metaforico, non presume di fornire filosofie sull’amore e sul sesso, non arriva a dare lezioni 'etiche'.
La Wexler affronta il soggetto con seria ironia: senza troppi dettagli, dà ai protagonisti (tutti bravi, in particolare Maggie Gyllenhaal nei panni di Charlotte e Hugh Dancy in quelli di Granville) un minimo di retroterra psicologico. Dirige così un film sugli spostamenti progressivi dell’intimità: una commedia in costume lieve, divertente, senza nulla di torbido né di cupo, che riesce a restituire, nel paradosso erotico, la verità della psiche umana. Il suo cinema parla, volutamente, un linguaggio ‘medio’, limitandosi ad incrociare i generi e le aspettative dello spettatore. Ma anche se gioca la carta di un divertito paradosso, non bara e non mistifica, portandoci quasi a sorpresa verso un lieto fine al limite dell’assurdo che è al tempo stesso la parodia di ogni possibile happy end.
Nonostante il tema potenzialmente scabroso, il film ribalta dunque con brio paradossale un argomento delicato, spezzando una lancia a favore delle pulsioni sessuali meno conformiste, purché esercitate con consapevolezza. La misura è il suo maggior pregio.

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