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Una vita tranquilla

La locandina di Una vita tranquillaTrasferta teutonica per Toni Servillo, ristoratore di origini napoletane trasferitosi in Germania per cambiare vita e lasciarsi alle spalle un passato scomodo. Con stile freddo e geometrico, Claudio Cupellini dirige un noir che si regge tutto sulle spalle del divo italiano
Rosario, un uomo di mezza età originario della Campania, dirige insieme alla moglie un ristorante-albergo in una piccola e tranquilla cittadina vicino a Francoforte. Sembra un uomo come tanti: è un buon padre di famiglia, un gran lavoratore ed un ottimo marito. Residente in Germania ormai da molti anni, si è perfettamente integrato nella società tedesca: oltre a parlare fluentemente la lingua autoctona, gode di una buona reputazione tra la gente del posto. Tutto quello che ha costruito in terra straniera rischia di andare in frantumi all’arrivo di Diego, il suo primogenito che non vede da molti anni, abbandonato in tenera età prima della partenza dall’Italia. La visita del figlio, giunto in Germania insieme ad un amico per portare a termine un lavoro sporco, riporta a galla un passato torbido che Rosario ha cercato in tutti i modi di lasciarsi alle spalle. L’uomo vede a poco a poco riaffiorare memorie e verità scomode che potrebbero mettere a repentaglio la sua vita privata.

Opus numero due per Claudio Cupellini (che si era fatto conoscere al grande pubblico con Lezioni di cioccolata), presentata in concorso alla quinta edizione del Festival del Film di Roma, Una vita tranquilla è un viaggio all’interno delle metamorfosi della normalità, inserite all’interno di un genere, il noir, da sempre luogo privilegiato delle ambiguità narrative. Parte come una banale gangster story contemporanea (con Diego ed il suo amico che approdano in Germania per uccidere un imprenditore), ma poi pian piano sposta il suo baricentro dentro l’anima di Rosario, scavando spietatamente ogni impercettibile mutamento della sua personalità. In un attimo, la tranquilla vita del protagonista e della sua famiglia diventa una discesa all’inferno con, forse, un impossibile ritorno. L’uomo si era illuso di aver costruito intorno a sé un mondo perfetto, impermeabile a qualunque minaccia legata alla sua vita precedente macchiata di sangue. Il cambiamento di Rosario (da membro della malavita organizzata a ristoratore di successo) non lo protegge dai fantasmi di un passato che ritorna e che lo imprigiona Una scena del filminesorabilmente alle catene della colpa.
Cupellini suggerisce che l’implosione del personaggio (interpretato magistralmente da Toni Servillo, la cui presenza scenica è il pilastro dell’intero impianto narrativo e visivo della pellicola) e del suo piccolo mondo era già annunciata, pronta a manifestarsi alla prima occasione. Se il plot ricorda certi western del cinema classico in cui il cowboy in ritiro si ritrova faccia a faccia con il proprio passato, il regista fa piazza pulita di qualsivoglia spiegazione elaborata per mettere in scena, con uno stile freddo e geometrico in ogni dettaglio (dalle singole inquadrature all’illuminazione, dai movimenti di macchina al montaggio), una parabola su temi come il mito della ‘seconda possibilità’ che ogni uomo ha per riscattarsi e la dialettica tragica tra ‘essere ed apparire’. Bonificato di qualsiasi elemento romantico, il suo film pone domande complesse che, purtroppo, rimangono senza una risposta. Forse perché manca la spinta propulsiva di una rielaborazione originale dei meccanismi narrativi tipici del noir: tutto sembra svilupparsi secondo la ‘routine’ delle logiche del cinema di genere. Risultato convenzionale, privo di spunti di grande interesse.

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