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Somewhere

  La locandina di SomewhereTra le pareti di un hotel di lusso di Los Angeles la solitudine di una star del cinema che riempie le sue giornate consumando pasticche, alcol e sesso occasionale. Ancora un personaggio 'lost' per Sofia Coppola, che ci mostra la fragilità di una vita imprigionata nel comfort dello show-business hollywoodiano

Johnny Marco, una star del cinema d'azione di origini italiane, vive stabilmente in una suite dell'hotel Chateau Marmont, un albergo di lusso frequentato da personaggi del mondo dello spettacolo. È bello, ricco e single, ma non è felice. Conduce una vita dissoluta, fatta di sbronze, abuso di pasticche, rapporti sessuali occasionali. Nelle sue giornate sembra esserci spazio solo per l'ozio. L'inerzia permanente lo ha portato ad isolarsi dal mondo che lo circonda, fino a perdere la cognizione del tempo. Nulla riesce a distoglierlo dalla sua rincorsa verso una deriva inarrestabile. La solitudine in cui è sprofondato viene però interrotta dalla comparsa di Cleo, la figlia avuta da un precedente matrimonio finito male, una ragazzina vispa e sensibile affidata dalla madre a Johnny per qualche giorno. Ben presto la presenza di Cleo inizia a far sentire a Johnny il peso delle sue responsabilità di genitore. L'uomo comincia così a prendere seriamente in considerazione l'idea di dare una svolta alla sua monocorde esistenza.

Dopo la parentesi in costume di Marie Antoinette, Sofia Coppola volge di nuovo il suo sguardo tra le spire dell'alienazione nella società contemporanea. Il suo Somewhere, in gara per il Leone d'oro alla 67esima Mostra del Cinema di Venezia, ribadisce la vena esistenzialista della regista. È una storia a cui da tempo ci ha abituati il cinema della figlia del grande Francis: come in Lost in Translation, accanto alle luci dello show-business si muove un'umanità sola, disperata, apatica. Punto di vista ovvio ma espresso con convinzione quasi contagiosa.
Una scena del filmEssenziale ma lirica, con i suoi tempi circolari, i personaggi alla deriva, le inquadrature composte, i malesseri fisiologici, la Coppola riesce ad affrontare in modo profondo ed emozionante delicati temi come la solitudine, i rapporti tra padri e figli, la famiglia, la fuga dalle responsabilità, scegliendo di fare il cinema-cinema, ovvero di non cedere alla tentazione di essere didascalica. Prevalgono situazioni invece che dialoghi ed azioni: mai come ora la regista dimostra un certo interesse per la sperimentazione intelligente sul linguaggio del cinema. Pochi primi piani, dialoghi ridotti all'osso, un fluire continuo di campi medi e di piani sequenza con azioni che danno rilievo a colori, suoni e canzoni di sottofondo (magnifica la colonna sonora, come sempre nelle opere della Coppola). Tutto è aspramente realistico, sia dal punto di vista delle scenografie che delle immagini, per rappresentare lo squallore invisibile in cui si aggira Johnny.
Il senso, quasi ossessivo, di amarezza e di vuoto che il film non manca di trasmettere al pubblico, rifugge dalla logica dei fatti curandosi solo delle atmosfere e degli stati d'animo. Si esce dalla visione con l'idea che il cinema sia il fantasma della vita. Del resto Somewhere è popolato di fantasmi che deambulano in attesa di un posto in un mondo in decomposizione. Il risultato è un racconto con punte espressive bellissime.

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