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The Midwife (Sage femme) - Recensione (Festival di Berlino 2017)

Nuova pellicola per lo studioso dell'universo femminile Martin Provost. The Midwife, in concorso al Festival di Berlino 2017, è la storia di due donne desiderose di cambiamenti radicali, descritti in un impianto stilistico che si affida esclusivamente alla bravura delle due attrici protagoniste

Claire Breton è un'ostetrica di mezza età. Vive sola in un piccolo appartamento a Parigi con un figlio adulto spesso assente. Ha anche un orto in cui coltiva frutta e verdura di stagione e forse anche un po' la sua anima. E' dedita al suo lavoro, ma è costretta a dover trovare un altro reparto maternità in cui operare perché l'ospedale in cui lavora sta per chiudere. Le complessità della sua vita aumentano quando un giorno, tornata da una notte di turno, ascolta nella segreteria del telefono il messaggio di una donna, Béatrice, ex amante del padre defunto che chiede di incontrarla. Questa è una donna all'opposto rispetto a Claire. Beve, fuma, gioca d'azzardo, ha intrallazzi in bische e attività poco lecite e vive in una casa prestata. Perché l'ha chiamata? Perché è molto malata e ha bisogno di aiuto. Inizia così una complicità tra le due donne un po' difficile all'inizio per gli opposti caratteri. Interviene a mitigare gli animi Paul, camionista, vicino di orto di Claire e suo nuovo compagno. Mentre il figlio di quest'ultima le dichiara che sta per diventare papà e mentre la donna è intenta a cercare un altro ospedale, Béatrice si ammala sempre più ed è così costretta a trasferirsi a casa della donna. Fino a quando potrà restare lì? Fino a quando il suo spirito può stare rinchiuso in quella vita lontana dal suo essere?
Martin Provost è abituato a raccontare l'universo femminile come già visto in Séraphine e Violette. Questa volta sposta la sua attenzione da una donna protagonista a due donne, due entità agli antipodi, seppur profondamente legate l'una all'altra. Entrambe, infatti, sentono la necessità di cambiare, di organizzare diversamente la loro vita. Claire, interpretata da Catherine Frot, ha una vita ordinaria, senza squilli, né emozioni. Suo figlio Simon (Quentin Dolmaire) è indipendente e sta per creare la sua famiglia. Il lavoro, certo, la soddisfa e ci mette passione, ma ormai è routine. Vuole cambiare, sente che è necessario ma da sola non è in grado. Ecco che quindi si getta nel suo orto che coltiva con la stessa cura con cui accudisce le partorienti. Improvvisamente le piovono addosso i problemi: l'ospedale in chiusura, la nuova famiglia del figlio e Béatrice (Catherine Deneuve), donna testarda, emotiva, fiera del suo essere sopra a tutti i problemi, insomma il suo opposto. Per raccontare questa ambivalenza, il regista francese si affida alle capacità attoriali delle due attrici, convincenti e brave nel definire con sfumature personali i caratteri delle rispettive protagoniste, sopratutto nel loro processo di evoluzione. In questa parabola di crescita, Claire diviene più attenta alle sue emozioni e Béatrice più convinta dei suoi limiti. A supporto Provost, anche sceneggiatore, inserisce due elementi narrativi. Il primo è la malattia di Béatrice che, per forza di cose, avvicina le due donne sole e il secondo è Paul, interpretato da Olivier Gourmet, il fascinoso camionista-agricoltore dai pensieri facili e dalla infinita voglia di vivere. Il suo essere scanzonato e apparentemente frivolo fornisce a entrambe spirito nelle loro vene, tanto da convincere Bèatrice a viversi i suoi ultimi attimi di vita con quella innocua superficialità che l'ha sempre contraddistinta e Claire a rinunciare al nuovo posto di lavoro, sicuramente più vantaggioso, ma disumanizzante per una passionale come lei.
Provost, dunque, per narrare questo universo femminile in tribolazione ed evoluzione si affida, come detto, completamente alle due attrici e alle loro capacità mutevoli, ponendo la macchina da presa a debita distanza dalle loro emozioni e azioni così da risultare credibili. Il film, pertanto, scorre come un'osservazione delle loro esistenze con cui lo spettatore difficilmente instaura un rapporto empatico a causa dall'assenza di un linguaggio visivo da parte del regista che avvicini chi guarda alle protagonista. La malattia di Béatrice, dunque, appare pretestuosa e non così troppo significativa ai fini della storia, perché a parte qualche inquadratura fuori fuoco, utilizzate per evidenziare il peggiorare della donna, non è descritta emozionalmente, né propone un punto di vista più psicologico del personaggio di Béatrice. Allo stesso modo la relazione di amante di questa donna con il padre di Claire è un corredo narrativo, e non un elemento basilare per separare le vite delle due protagoniste almeno all'inizio.

The Midwife, in conclusione, scorre lentamente, scandito da ritratti paesaggistici e naturalistici, soprattutto dell'orto, che conciliano l'animo di Claire, e dalla musica dei grandi cantori francesi che invece restituiscono felicità e vita a Béatrice.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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