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Near Death Experience - Recensione (Venezia 71 - Orizzonti)

Un terzetto composto da due esperti registi e uno scrittore, tra i più veri narratori di oggi, firmano una pellicola naturale. Un uomo fugge su una montagna per staccarsi dalla vita e per ricordarsi il suo valore di essere umano nel mondo


Paul non deve morire e non può morire. Non si tratta di destino avverso, di sfortuna, di fato imprevedibile. E' il suo stesso corpo, la sua mente, l'endorfina del suo cervello che lo tiene in vita. Quale vita, però? Paul non vive. Sopravvive anestetizzato e insensibile incastrato in una città che non lo accoglie, in cui svolge un lavoro senza senso con colleghi fantasmi, ed è circondato da una famiglia con cui non riesce a parlare.Venerdì 13 Paul decide di fuggire e cerca di uccidersi, ma non riuscendoci vive un'esperienza di quasi morte. Questa si articola in soliloqui, dialoghi con la sua famiglia, impersonaficata in piramidi di pietre, esternazione a voce libera dei suoi segreti più intimi, così da liberarsi da tutto quanto celato dal suo animo.
I registi francesi Benoît Delépine e Gustave Kervern ricercano, dunque, la verità, la sincerità, l'onestà nell'uomo contro le convenzioni e l'ipocrisia della città e del mondo di oggi. La pellicola, infatti, si apre con la presentazione di questo scenario. Paul presenzia alle futili chiacchiere al bar dei suoi colleghi, dopo ascolta la radio che trasmette sempre la solita musica e le solite voci, per giungere a casa e dialogare da solo con i suoi familiari.
Tutto questo rende il volto di Paul verticale, virato verso il basso. Il personaggio impersonificato da Michel Houellebecq prende vita da questo e si articola in sguardi, tono di voce flebile, mimica facciale naturalmente triste. La macchina da presa dei registi gli rimane incollata al volto, in modo tale da trasmettere l'intimità del personaggio che si evolve, quando Paul scappa sulla montagna, il suo eremo distante da tutto, in un'espressione più rilassata e 'a suo agio' con il mondo.
Delépine e Kervern lasciano, così, Houellebecq libero nell'esprimere i suoi pensieri, nel parlare, nell'interagire con tutti gli elemeneti universali che popolano la montagna. Parla con questa, si rivolge agli animali, striscia per terra, si lancia in danze sfrenate, commemora e rispetta anche le bestie morte. Fa tutto ciò che gli serve per sentirsi nuovamente un uomo nel mondo.Raggiunta questa consapevolezza, il processo di ricostruzione di Paul appare completato, eppure i registi lasciano lo spettatore con un interrogativo. Mentre sta tornando a casa l'uomo accetta il passaggio di una donna che immediatamente salito lo infila di domande sulla sua vita. Paul non risponde e si libera da questa situazione gettandosi dall'auto in corsa. Ciò significa che l'uomo non è davvero pronto per quanto gli propone il mondo e quindi sceglie l'autolesionismo e la solitudine?

Tralasciando le considerazioni sulla condizione dell'uomo di oggi che emergono dalla pellicola, il valore di Near Death Experience risiede, soprattutto, nella naturallezza e nella tragica lucidità con cui registi e attore impostano il film. Tutto quanto sullo schermo appare libero e vero.

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