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Goodnight Mommy - Recensione (Venezia 71 - Orizzonti)

Due gemelli e una madre misteriosa in un horror psico-fisico di ambigua tensione e supercolla abbondante. Marchio Seidl su questo debutto di Franz e Fiala che rinnova lo stile di Haneke con mano ferma, coraggio e originalità

In una villetta nella garrula campagna austriaca vive una famigliola bella e bionda, fatta di madre e due figli gemelli sui dieci anni; un giorno qualunque la madre ha un incidente non ben circostanziato, ma quel che importa è che viene operata al volto, indi per cui le tocca portare una fasciatura che la rende irriconoscibile. E qui viene il bello, perché irriconoscibile, bardata com’è la sua faccia un tempo pulitina, la donna lo diventa anche ai suoi stessi figli, che poco a poco maturano l’impressione che quella che hanno davanti non sia proprio la loro vera madre. Piano piano, poco poco, ecco che la tensione nel tempo e con le scene di disarmante quotidiana inanità monta e monta, finché non finisce che i due (non troppo) simpatici decenni ariani si mettono la maschera (letteralmente, pure) da aguzzini, sequestrano la donna e la sottopongono a interrogatori e torture degne delle più oscure celle di Abu Ghraib.
Questa la storia, in poche righe, e al resto pensano il carisma e gli spicci di Ulrich Seidl, il suo supporto morale e una buona idea di fondo da cui tutto è partito. Ingredienti scarsi, apparentemente non da piatto ricco, ma che grazie alla qualità (della messa in scena) e al piglio deciso dei due registi pure al debutto, Veronika Franz, moglie e collaboratrice di lunga pezza dello stesso Seidl, e il sodale Severin Fiala, compongono alla fine della proiezione quello che ha (un poco almeno) ragione di poter ambire all’etichetta di miglior horror psico-fisico - ove lo 'psico' vale per la prima parte di thrilling, mentre il 'fisico' per la seconda, a base di nastro americano, e torture al ciano acrilato - degli ultimi anni. E lo fa sfoderando una certa capacità di sorprendere, un bel coraggio nello schifare i cliché abusati del genere, e un notevole gusto nel coniugare stranezze e brutture con uno stile visivo piuttosto raffinato, insomma tirando a lustro i meccanismi (cinematografici) dell’Haneke di Funny Games.
Il duo dei registi in erba tesse sin dal principio, dalla prima battuta in cui la madre sfigurata si rivolge ai due gemelli usando il singolare, una tela fatta di ambiguità che, pur lontana dall’ambire all’imprevedibile, ciononostante non smette mai di ballare sul filo della tensione di un incombente avvenimento misterioso, che quando effettivamente si fa corpo mette le ali alla storia, e con essa al film, al sottile orrore che instilla e anche al cinema che lo contiene su uno schermo a colori smunti e pungoli ben affilati per il cervello dello spettatore.

In Ich Seh, Ich Seh (Goodnight Mommy) tutto succede senza controcampo esterno, senza speranza che arrivi un salvatore o un imprevisto, come nei più banali horror di cassetta a un certo punto sempre succede - non fosse altro che per rianimare un po’ il pubblico in sala e convincerlo a stipare nello stomaco altro mais abbrustolito che metterà alla prova i di loro succhi peptici nel dopo visione, unica attività possibile visto che quella cerebrale sarà atrofizzata dagli zuccheri semplici della coca cola bevuta – ed è già questo un piccolo ma sufficiente motivo per cercarlo e vederlo.

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