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3 Coeurs - Recensione (Venezia 71 - In concorso)

Benoît Jacquot torna alla Mostra del Cinema con il suo nuovo film, un melodramma romatico e tragico poco compiuto. Grandi sorrisi, drammi di plastica e suspence non percepita configurano un film inspiegabilmente inserito nel Concorso

Sulla scena di 3 Coeurs appaiono tre cuori appartenenti a quattro protagonisti, Marc (Benoit Poelvoorde), Sylvie (Charlotte Gainsbourg), Sophie (Chiara Mastroianni) e la madre delle due donne, Catherine Deneuve.
I quattro personaggi descrivono vicendevolmente trittici (di cuori) dominati da amore, difficoltà, relazioni complicate, ipocrisie e sogni. Marc incontra una sera Sylvie. Tra i due si crea un'intesa, così da decidere di vedersi nuovamente qualche giorno dopo. L'uomo, però, arriva in ritardo all'appuntamento e perde per sempre la donna la quale, per la delusione, decide di seguire il compagno di vita nel suo nuovo lavoro negli Stati Uniti. Dimenticata la donna, Marc incontra successivamente Sophie, senza sapere, però, che è la sorella di Sylvie. I due si innamorano, si sposano e hanno anche un bambino. Solo poco prima delle nozze l'uomo scopre la parentela tra la sua sposa e Sylvie. Quando lei torna in Francia, i due ex amanti cercano di evitarsi, ma l'amore non conosce ostacoli e il dramma è servito. A supervisionare la vicenda è la madre delle due donne che capisce e osserva il trittico d'amore.
A essere sinceri la vicenda non offre nulla di più di questo rapido riassunto. Jacquot vuole narrare un intreccio d'amore dai forti toni, con sfumature di thriller. Il presupposto del regista dovrebbe essere l'immedesimazione del pubblico nel vorticoso giro di cuori che attraversa i tre protagonisti, in quanto l'amore sofferto e travagliato è affar comune a tutto il genere umano. 3 Coeurs, però, non soddisfa questo intento poiché il regista sconbussola la visione dello spettatore portandolo da ambientazioni noir, al thriller, alla commedia romantica, come sottolinea il ridondante e rimarchevole rallenty finale, senza motivare questi passaggi. Nemmeno la musica aiuta. E' percepita sempre sopra le righe e comunque mai in accordo con l'interpretazione degli attori, bloccate e mai misurate. Le azioni di Marc e delle due sorelle, infatti, sono pervase da un istinto artefatto e forzato che ha ben poco della natura umana o un vicino tratto di quella poesia proposta dal cinema francese qualche generazione di cineasti fa.

Jacquot, quindi, compie più un esercizio di stile che una narrazione di sentimenti e vicende umane. La sua macchina da presa non riesce mai a stare ferma a focalizzare i patimenti dei personaggi, né tantomeno il narratore esterno che a un certo momento della narrazione irrompe nella scena in maniera inspiegabile. In questo modo la pellicola crea più confusione che una reale suggestione o un ricordo in chi guarda.

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