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Top e flop ten 2013: i film più belli e quelli più deludenti dell'anno

Come da tradizione, la redazione di LinkinMovies.it mette nero su bianco i 10 film più amati e i dieci più detestati dell'anno appena concluso. Film distribuiti nelle sale o solo in home video, trasmessi in tv o transitati ai maggiori festival cinematografici: ecco il meglio e il peggio del 2013 cinematografico

I belli e i flop secondo Danilo Bottoni

Avvertenza: la lista che segue è una lista snob. Razzisti e nemici della categoria siete avvertiti.

1. Die Andere Heimat, di Edgar Reitz – Cinema come non se ne fa più: storia, poesia e maestro Reitz a dirigere. Nato reliquia.
2. The Wind Rises, di Hayao Miyazaki – Perché è Miyazaki e probabilmente l’ultimo. Il più adulto, dove il sogno si fa concreto.
3. Still Life, di Uberto Pasolini – La solitudine e la sensibilità di un uomo gentile. Cinema pensato bene e realizzato meglio che parla a tutti e commuove.
4. The Resurrection of a Bastard, di Guido van Driel – Storia di delinquenza e redenzione, originale nella scrittura e sapiente nella regia. Ed è un esordio.
5. Countdown, di Nattawut Poonpiriya – Un horror a lieto fine con il Mostro che è anche Redentore.
6. Gravity, di Alfonso Cuaron – Parte subito e ti fa mancare l’aria fino alla fine. Spazi(o) e trasparenze in 3D straordinarie.
7. Solo Dio perdona, di Nicolas Winding Refn – Non è certo il miglior film di Refn ma c’è dentro, di certo, il miglior ‘villain’ dell’anno.
8. Pacific Rim, di Guillermo del Toro – Perché solo le persone malvage non amano i robottoni.
9. Post Tenebras Lux, di Carlos Reygadas – Ci si siede e non si sa dove si sarà portati. Nell’assoluta sicurezza del cinemino d’essai sotto casa.
10. Lethal Hostage, di Er Cheng – Noir obliquo da un paese che sa fare ancora film dedicati solo al pubblico adulto.

Flop


Premessa: ovviamente, tra i peggiori, mancano quelli brutti di default che non meritano nemmeno si perda tempo a vederne un pezzetto (ad esempio, qualsiasi film della Comencini o quelli con Christian De Sica).

1. To the Wonder, di Terrence Malick – E’ talmente insulso che, pur avendolo visto nel 2012 a Venezia, lo tengo al primo posto anche nel 2013, data di uscita nelle sale italiane.
2. The Bay, di Barry Levinson – Il found footage scoperto da un anziano reduce che non l’ha capito. Ridicolo involontario e noia.
3. La moglie del poliziotto, di Philip Gröning – Il passaggio dal documentario alla fiction non ha fatto bene a Gröning. Capitoli di boria d’autore.
4. The Last Exorcism 2 – Liberaci dal male, di Ed Gass-Donnelly – Un horror dove non succede niente. Ma proprio niente. Irrecuperabile anche come parodia del genere.
5. Lo sconosciuto del lago, di Alain Guiraudie – Stesso film ma etero avrebbe mai vinto qualcosa a Cannes? Non avrebbe nemmeno partecipato. Ipocriti.
6. Le streghe di Salem, di Rob Zombie – Un po’ di riprese raffazzonate per intascarsi i soldi della produzione. Bruttissimo e idiota, infatti c’è chi lo esalta.
7. Tulpa, di Federico Zampaglione – Non così brutto come il film di Rob Zombie, ma altrettanto noioso e insulso. Per gli amanti del genere un vero… ‘Tiromancino’.
8. Two Mothers, di Anne Fontaine – Pornografia sentimentale per donne in menopausa. Imbarazzante.
9. Salvo, di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia – Velleitario e mal riuscito, salvato dal’oblio grazie al Grand Prix de la Semaine de la Critique di Cannes. ‘Folgorante’ come il bicarbonato.
10. Una notte da leoni 3, di Todd Phillips - Quella che in un serial sarebbe una puntata di raccordo, quella dove non succede niente per dare spazio all’evolversi della storia nella successiva. Truffa.

I belli secondo Paolo Villa

Cloud Atlas, di Lana e Andy Wachowski e Tom Tykwer - Cinema futuribile: corale, policentrico nel tempo e nello spazio, borgesiano; più unico che raro esemplare di film veramente capace di alzare il livello del cinema popolare usandone gli strumenti (i trucchi, gli inganni) nel modo più fine.

Pacific Rim, di Guillermo Del Toro - Cinema giocattolo: enorme, emozionante, capace di inchiodarti alla poltrona e farti regredire all’infanzia. Lo spettacolo della meccanica e del pieno dispiegamento di mezzi audiovisivi che davvero sono in grado di portarti, per un paio d’ore, in una realtà diversa.

L’etrange couleur des larmes de ton corps, di Hélène Cattet e Bruno Forzani - Cinema organico: un caleidoscopio audio-video ispirato all’art noveau che prende le mosse dal Giallo italiano e da Lynch per giungere ai mondi nascosti dell’inconscio e alle loro uniche rappresentazioni possibili: gli incubi, reali quasi come il vero.

Still Life, di Uberto Pasolini - Cinema essenziale: la favola in tono minimalista di un personaggio e della sua storia, che mostra come l’amore per ciò che si racconta, prima ancora del come lo si fa, sia ancora un grande motore del cinema.

Mouton, di Marianne Pistone e Gilles Deroo - Cinema di poesia: un pedinamento di un personaggio e della vita, svolto senza mai scadere nel peloso, nella retorica e nell’estetica della povertà, ambiguo nel suo essere reale e senza regole sintattiche prestabilite, come impressioni, tracce, ombre rimaste quasi loro malgrado sulla pellicola.

Drug War, di Johnnie To - Cinema neo-romantico: sporco e rumoroso come la vera Cina può essere, un poliziesco che arriva a compimento dell’handover personale di Johnnie To e del suo cinema noir, e che frantuma in un crescendo finale straordinario la fredda e rigida impostazione stilistica della prima parte.

Il tocco del peccato - A Touch of Sin, di Jia Zhangke - Cinema socio-politico: ancora un viaggio dentro il tessuto sociale sfibrato della realtà cinese per uno dei più grandi registi del nuovo millennio, Jia Zhangke qui realizza il suo film più critico nei confronti di quel modello di sviluppo caotico e spietato che aveva abitato le sue precedenti storie, di poetica irrequietezza.

‘Til Madness Do Us Part, di Wang Bing - Cinema radicale: Wang Bing si rinchiude per mesi dentro un ospedale psichiatrico per documentare la vita, e l’amore, nelle condizioni di habitat più difficili; un deserto di pietre da cui man mano che le 4 ore di durata (senza un minuto perso, tra l’altro) si consumano, vediamo spuntare fiori inaspettati.

Isa, di Pawel Pawlikowski - Cinema bello: la storia di un viaggio e della conoscenza tra due donne nella Polonia degli anni ‘60: ritmo compassato, gran bellezza visiva nel suo superbo bianco e nero e due grandi protagoniste.

La fine del mondo, di Edgar Wright - Cinema sorprendente: prima si nasconde dietro una stupida storia di bevute e nostalgia della giovinezza, ma dopo un po’ Wright si prende il campo libero e, complici strani androidi dalle apparenti buone intenzioni, tramuta il gioco in una strampalata quanto geniale apologia della libertà di essere umani e sforna la migliore commedia dell’anno.

Fuoriconcorso: Holy Motors, di Leos Carax - Cinema oltre: film-esperimento che è contemporaneamente un punto sullo stato dell’arte del cinema che è (e sarà) e un moto di nostalgia nei confronti delle storie del cinema che fu; il regista che osserva la sua storia e contemporaneamente il suo pubblico mentre guarda la sua storia, l’attore che confonde vita e interpretazione (perché forse son la stessa cosa) diventano figure archetipiche della seduzione sulla mente di chi guarda che da sempre è il potere del cinema.

Oltre la canonica decina dei preferiti, e il fuori concorso di cui sopra, il 2013 dei festival (Locarno e Venezia) ha ben rifornito la fantasia con storie e prove interessanti e memorabili anche a distanza di mesi dalla visione, tra cui val la pena menzionare le sperimentazioni ardite di Yuan Fang (Distant), di Yang Zhengfan e di Mahi va Gorbeh (Fish & Cat), di Shahram Mokri, come anche la solidità narrativa di Locke, di Steven Knight. Al cinema, fugaci apparizioni, hanno lasciato comunque un buon ricordo di loro film come The Grandmaster, attesissimo ritorno in patria di Wong Kar Wai e le scelte drammatiche di uomini in periodo di guerra di Anime nella nebbia, firmato Sergei Loznitsa.
Benaccolti, giustamente e dopo qualche battuta di appannamento, sono stati anche film diretti da nomi noti a livello internazionale come Frankenweenie, di Tim Burton, La grande bellezza, di Paolo Sorrentino e, perché no, anche Stoker, di un Park Chan-wook che non fallisce l’avventura ad Hollywood.
Più vicino a casa, gli autori un po’ più emergenti del vecchio Continente non sono stati a guardare, e anzi si sono confermati forieri di buona aria cinematografica e attese conferme, come per Csak a szél (Just the Wind), di Benedek Fliegauf e La scelta di Barbara, di Christian Petzold.
Per il circuito dei generi meno sotto i riflettori dei festival e della distribuzione italiana, concludiamo appuntando sul taccuino due piccole gemme (semi)nascoste, con la speranza che in un modo o nell’altro riescano a sbarcare anche dalle nostre parti. Divertenti e fuori bolla, sospese tra il dramma nel genere e la commedia nera, provengono entrambe dal Nord Europa, un’area geografica che da qualche anno è ormai sinonimo di qualità ormai non più solo per il cinema d’autore e festivaliero: il dissacrante apologo diretto contro i casi di pedofilia Au Nom Du Fils, del belga Vincent Lannoo, e il noir ai limiti del geniale di De Wederopstanding van een Klootzak (The Resurrection of a Bastard), dell’olandese Guido van Driel.

I belli e i flop secondo Davide Parpinel

La scelta che la redazione mi ha chiesto è davvero ardua: decidere le 10 pellicole che hanno segnato il mio 2013 cinematografico. 10 film significa 10 storie, 10 immagini, 10 motivi per cui, personalmente, ammirare ancora l'arte del cinema. Proprio quest'ultima ragione è stata la discriminante della mia selezione. L'offerta cinematografica annuale ha, certamente, soddisfatto tutti gli animi, ma non sempre i miei criteri artistici.
Ecco quindi la mia classifica di quelle storie per immagini che quest'anno mi hanno ricordato la bellezza del cinema.

Blue Jasmine, di Woody Allen - Inizio la mia graduatoria con una nota sentimentale. L'ultimo lavoro di Allen ha saputo restituirmi quel tipo di cinema che solo lui ha saputo creare e nelle ultime pellicole aveva smarrito. Nel personaggio di Cate Blanchett, come nell'intero film, il maestro di New York riassume tutto ciò che ha sempre caratterizzato il suo segno cinematografico: piscosi, immagini, dubbi, confronti, attese, delusioni e ironia. Non sarà nulla di nuovo, ma è un buon ritorno.

Feng Shui, di Wang Jing - Il film narrativamente non è innovativo. Racconta gli errori e le scelte che condizionano il futuro di una figlia. Ciò che mi ha affascinato è stato il modo in cui il regista è riuscito a intrecciare nello svolgimento le credenze popolari, in riferimento al Feng Shui, con il concreto dramma familiare, senza colpi di scena,  isterismi, emozioni veicolate, ma narrando tutto il reale mondo della Cina popolare.

The Canyons, di Paul Schrader - L'ultima fatica dell'immortale Schrader mi ha entusiasmato per come è riuscito a parlare del presente, della voglia di apparire dell'uomo, della sua arroganza e incomunicabilità e della patetica e continua ricerca di emozioni sempre estreme, mascherando tutto questo sotto la bellezza plasticosa di Linsdey Lohan.

The Mass of Man, di Gabriel Gauchet - Piccola intrusione di un cortometraggio nella mia decina. Questo lavoro di diploma del giovane regista inglese riesce in 5 minuti a mostrare l'estrema dissolutezza e pericolosità della nostra società attraverso la storia di un uomo in cerca di lavoro. Per tutta la durata del corto sono stato scacco dell'ansia e appeso alla disperazione del protagonista.

Night Moves, di Kelly Reitchard - Il film presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2013 ne è per me il vincitore morale. Il racconto della regista americana propone in un'atmosfera silenziosa e riflessiva, l'essere impulsivo e senza raziocinio dell'uomo di oggi. Night Moves insegna come non ha senso agire di pancia in un'azione di rottura e di ribellione, se non si calcolano le conseguenze. Una lezione importante per i tempi di oggi.

Moebius, di Kim Ki-duk - Tutte le parole, positive o negative, scritte in relazione a Moebius non rendono e non dimostrano la fattura artistica di Kim Ki-duk. Il regista sudcoreano è bravissimo nel costruire un film che gioca tra il grottesco e il reale, senza mai scadere nella banalità o nell'eccesso. Questo vuol dire saper fare un film.

La grande bellezza, di Paolo Sorrentino - I film basati su un'atmosfera come 8 ½ e Morte a Venezia mi hanno sempre suggestionato. Il regista napoletano è stato molto capace nel restituire la decadenza di Roma e dell'Italia di oggi che ama specchiarsi nella sua bellezza effimera piuttosto che fare i conti con i propri problemi.

Un giorno devi andare, di Giorgio Diritti - Il modo in cui il regista italiano è riuscito a tessere emozioni, sensazioni, paure, ansie, attese della giovane protagonista in un connubio tra natura e uomo e in uno stile pulito e naturale, ha reso questo film unico nel panorama annuale.

Stray Dogs, di Tsai Ming-liang - L'ultimo lavoro del regista di Taiwan è l'ultimo segno di un grande regista. Ogni singolo fotogramma, ogni sensazione e parola sono rimasti impressi nella mia mente per la loro forza evocativa e riflessiva.

'Til Madness Do Us Part, di Wang Bing - A volte mi domando cosa stanno facendo in questo momento i ricoverati del luogo di cura protagonisti del documentario. Considerando che il film l'ho visto a settembre e dopo quattro mesi il suo pensiero vive e si amplia nella mia testa, può bastarmi per decretare il documentario di Wang Bing il migliore che ho visto quest'anno e per ricordarmi il potere di fascinazione immenso del cinema.

Flop

Ora arriva la classifica più rognosa. Piuttosto che elencare i film che nel 2013 non hanno riscontrato i miei favori, ho deciso di citare 3 (o 4) film, proposti in ordine sparso, che mi hanno particolarmente deluso.

Educazione siberiana, di Gabriele Salvatores, e La migliore offerta, di Giuseppe Tornatore - Unisco in un'unica posizione queste due pellicole, seppur differenti nello stile e nella storie. Il motivo è che entrambi i registi hanno smarrito il senso del loro cinema. Sia il film tratto dal romanzo di Nicolai Lilin che quello del siciliano sono due storie ben narrate, con delle ottime estetiche, ma senza quel segno, quel graffio, quella scena o momento o parola che hanno reso ricordabili (quasi)  tutte le loro pellicole.

La mafia uccide solo d'estate, di Pif - Pif ha pensato e scritto correttamente il suo film, mettendoci la passione e il punto di vista di un uomo che conosce davvero la materia di cui parla. Per fare un film, però, non sempre ciò è sufficiente. Il cinema è certo riflessione e in questo Pif sa condurre abbastanza bene lo spettatore a pensare su come la mafia abbia macchiato la storia d'Italia con un tono ironico e sagace. Non basta, però, il suo volto gommoso per raccontare una storia, ma bisogna anche saperla organizzare attraverso una precisa scelta linguistica e una modalità di narrazione che sappia tenere sempre attento chi osserva. I presupposti, però, perché Pif crei una buona seconda opera ci sono.

Django Unchained, di Quentin Tarantino - Mio caro Quentin, sei un maestro del cinema. A te devo molto del mio bagaglio di crescita cinematografica. Ti ho protetto contro i tuoi detrattatori quando ti hanno accusato di aver realizzato con Kill Bill un film senza spirito. Con Django, però, sei indifendibile. Mi accodo a chi dice che non sai più sviluppare la tensione, non sai più essere efficace nella narrazione e di puntare tutto sull'effetto. Per fortuna che hai scelto Leonardo DiCaprio per il ruolo di Calvin Candie che nel complesso ha risollevato la riuscita della pellicola. Quentin mi hai deluso, ma ti perdono.

I belli e i flop secondo Massimo Volpe

Fine anno e tempo di bilanci. La premessa è d’obbligo: purtroppo (o per fortuna ) il tempo è sempre tiranno, quindi chi scrive non ha potuto avere modo di vedere tutti i film usciti nell’anno, motivo per cui la classifica inevitabilmente va considerata parziale e legata a fattori concomitanti (gusti personali, rifiuti aprioristici, ecc); per tale motivo la Top Ten e la Flop Ten hanno valore puramente indicativo ben lungi dall’avere la pretesa di essere una sorta di summa cinematografica per l’anno che sta finendo.

1. Still Life, di Uberto Pasolini - Storia bellissima, raccontata con garbo e rigore che ci regala uno dei personaggi più belli del cinema degli ultimi anni, un piccolo uomo che lotta per dare rispetto alla morte regalando così dignità alla vita.

2. Il tocco del peccato - A Touch of Sin - Il tanto atteso ritorno di Jia Zhangke al cinema di finzione si materializza con un lavoro straordinario: uno sguardo sulla difficile condizione dell’uomo nell’Universo, non solo in Cina.

3. Cloud Atlas, di Andy e Lana Wachowski - Pregevole lavoro sul tempo che passa e sui destini dell’Uomo che si rincorrono e si incrociano; schegge di vite narrate con grande coraggio narrativo che prima spiazzano e poi avvolgono.

4. The Grandmaster, di Wong Kar Wai. La vita di Ip Man narrata da un’angolatura molto meno epica, racconto sull’essenza delle arti marziali e di arti marziali mediato dallo sguardo poetico del grande regista di Hong Kong; un lavoro tanto atteso che sa regalare grandi momenti

5. Django Unchained, di Quentin Tarantino - Il western del regista di Kill Bill oltre che omaggio è pretesto per una lunga riflessione (a modo suo ovvio) sull’America schiavista. Tarantino anche stavolta sembra volere rimestare nella Storia recente ed il risultato è eccellente.

6. Hard to be a God, di Aleksei Jurevic German - Testamento cinematografico del grande regista russo, lavoro mastodontico, dalla genesi tribolata, imperfetto nella sua grandezza ma proprio per questo capace di donare, soprattutto a livello visivo, momenti memorabili: profonda riflessione sul male che affligge l’uomo e sulla impossibilità di governare il Mondo.

7. La grande bellezza, di Paolo Sorrentino - La storia di un mezzo fallito viveur e attraverso esso quella di una città dove cattivo gusto e mancanza di etica dominano incontrastati. Un ritratto di Roma e del suo sottobosco di falliti che in larghi tratti abbaglia.

8. Young Detective Dee - Raise of the Sea Dragon, di Tsui Hark - Il trionfo del genio visivo del regista leader della New Wave hongkonghese degli anni '80: il prequel del fortunato Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma regala un 3D che sa mettersi al servizio della storia in maniera intelligente e visivamente perfetta.

9. Countdown, di Nattawut Poonpiriya. Una delle più grandi sorprese dell’anno, piccolo film che però sa regalare momenti grandi oltre ad uno spacciatore di nome Jesus che si erge a giudice e dispensatore di punizioni divine. L’originalità del racconto ben si sposa con l’atmosfera da thriller.

10. Snowpiercer, di Bong Joon-ho. Grande conferma per il regista coreano che se la cava benissimo anche fuori dal suo paese; film che si pone come metafora e riflessione sulla lotta di classe e sull’idea di rivoluzione. Per fortuna al Festival di Roma lo abbiamo visto nel Director’s Cut.

10. The Last Supper, di Lu Chuan - Grande rilettura drammatica di uno degli eventi storici cinesi maggiormente avvolti di epicità; il tormento del potente schiacciato dal potere, in un film nel quale sembra aleggiare lo spirito kurosawiano.

Flop

1. Another Me, di Isabel Coixet - Anche per la regista spagnola è scoccato l’ultimissimo appello, film imbarazzante, costellato di fantasmi e di situazioni grottesche, privo di qualsiasi spunto di interesse, confuso e pasticciato. La lista nera dei registi si allunga.

2. A Vida Invisivel, di Vitor Goncalves - Ovvero come riempire una pellicola di una idea non sviluppata che si coagula intorno ad un personaggio che dovrebbe mostrare tormento e melanconia ed invece annoia e basta.

3. The Canyons, di Paul Schrader - Difficile trovare qualcosa di interessante in questo film dall’atmosfera smaccatamente e artificiosamente morbosa, forse il fatto più interessante è vedere all’opera tanti attori porno come non si vedono neppure in un film XXX.

4. I corpi estranei, di Mirko Locatelli - Il talento di Filippo Timi non salva un film debole con una trama esilissima e con situazioni spesso incomprensibili; idea probabilmente valida, ma costruzione narrativa inconsistente che si aggrappa ad una non ben chiara tematica di integrazione.

5. Moebius, di Kim Ki-duk - Commedia demenziale dell’anno (come brillantemente ha suggerito da qualcuno) o ennesima prova sconcertante del regista sudcoreano? Difficile capirlo, di sicuro Kim sembra essere ripiombato in una situazione di aridità preoccupante.

6. It’s Me It’s Me, di Satoshi Miki - Surreale e sconclusionata commedia per il regista giapponese, capace di ben altro. Il mondo che si popola di tanti cloni di se stessi non riesce a far centro, anzi il film delude notevolmente, nonostante le star.

7. Promised Land, di Gus Van Sant - Gigantesco lavaggio di coscienza collettiva riguardo ai problemi ambientali, stavolta Van Sant fa cilecca in pieno: film debole, noioso, scontato, incapace di deragliare anche solo un momento dal binario di ovvietà e di 'già visto' che si imbocca sin dall’inizio.

8. The Complex, di Hideo Nakata - Altro regista che sembra sul punto di essere giunto all’ultimo appello, Nakata non riesce più a dare smalto al j-horror: solita sfilata di situazioni scontate, trucchetti e luoghi comuni, stavolta in un caseggiato che sembra volersi ergere a protagonista della storia.

9. L’amore inatteso, di Anne Giafferi - Storia di una conversione che si avvolge di leggerezza e di un certo spirito radical chic, è questo un lavoro che regala veramente poco, tutto giocato sul tono ora da commedia ora da film intimista con brio. Ci abbiamo messo tre anni per poterlo vedere in Italia: una volta tanto forse ci avevano azzeccato i distributori.

10. Nobody’s Daughter Haewon, di Hong Sang-soo - Ripetere sempre lo stesso film cambiando facce e situazioni, questo sembra essere Hong negli ultimi anni; forse questo lavoro ha un po’ più di vivacità, ma la sensazione di assistere ad un rewind è troppo tangibile.

Menzione speciale per To The Wonder di Terrence Malick, non perché il film sia di livello così basso, ma se si parla di Flop non può non esserlo quello del regista americano dal quale è lecito aspettarsi ben altro: stavolta solo la regia da mestierante e indubbiamente valida salvano con fatica un lavoro cui i silenzi e i sussurri non esprimono il concetto dell’amore come tramite per raggiungere la grazia divina che sembra essere il nocciolo del racconto.

I belli e i flop secondo Fabio Canessa

Stray Dogs, di Tsai Ming-liang - La forza devastante dei quadri del pittore con la macchina da presa).
Like Father Like Son, di Hirokazu Koreeda - Tale regista, tale film.
The Wind Rises, di Hayao Miyazaki - Testamento artistico del Maestro assoluto dell'animazione.
Il passato, di Asghar Farhadi - La conferma di un grande indagatore delle relazioni umane.
Zero Dark Thirty, di Kathryn Bigelow - Straordinario ruolo femminile per una straordinaria attrice: Jessica Chastain.
Solo Dio perdona, di Nicolas Winding Refn - Il lavoro di sottrazione che spiazza ma non lascia indifferenti.
Hard to be a God, di Aleksei Jurevic German - Un mondo repellente di una grande bellezza.
La vita di Adele, di Abdellatif Kechiche - Denso e vibrante tranche de vie.
Before Midnight, di Richard Linklater - Degna chiusura di una bella trilogia.
Paradise: Hope, di Urlich Seidl - L'ultimo paradiso di Seidl è meno infernale, ma solo in superficie.

Flop

Another Me, di Isabel Coixes - Imbarazzante è un complimento.
Sacro Gra, di Gianfranco Rosi - Un Leone d'Oro che grida vendetta.
Capitan Harlock, di Shinji Aramaki - Computer grafica e 3D rovinano il mito.
Il grande Gatsby, di Baz Luhrman - Luci e paillettes non coprono la noia.
Out of the Furnace, di Scott Cooper - Un grande cast sprecato in una marea di cliché.
Parkland, di Peter Landesman - Premio film inutile dell'anno.
Fear of Falling, di Jonathan Demme - Farebbe addormentare anche l'uomo senza sonno.
Stoker, di Park Chan-wook - Meglio vietare le trasferte americane ai grandi registi asiatici.
Seventh Code, di Kiyoshi Kurosawa - Mediocre spy story di sessanta minuti.
Bling Ring, di Sofia Coppola - Piatto, stavolta Sofia Coppola stecca.




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