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Tokyo Love Hotel - Recensione

Tokyo Love Hotel - 2014 - Film - RecensioneGrazie alla Tucker Film giunge in Italia Tokyo Love Hotel di Ryuichi Hiroki, film che attraverso il racconto di una giornata tipo in un love hotel di Tokyo, getta uno sguardo sui rapporti amorosi e sulla solitudine

Presentato al Toronto Film Festival nel 2014, transitato al Far East Film Festival di Udine nel 2015, giunge nelle sale italiane col titolo di Tokyo Love Hotel (titolo internazionale Kabukicho Love Hotel) uno degli ultimi lavori del regista giapponese Ryuichi Hiroki, grazie alla instancabile e meritoria attività della Tucker Film, unico vero baluardo del cinema orientale nel nostro paese, sempre pronta a diffondere pellicole che altrimenti rimarrebbero tristemente ai margini dei circuiti italiani.
Il film di Hiroki è uno squarcio sul mondo dell’amore che si consuma più o meno clandestinamente all’interno di un love hotel di Tokyo, uno sguardo su rapporti fugaci e su solitudini nutrite da una incomunicabilità silenziosa. Il quartiere a luce rosse di Kabukicho pullula di love hotel, luoghi di ritrovo a metà strada tra lo squallore ed il pittoresco in cui si consumano fugaci e segreti incontri amorosi più: in uno di questo alberghi lavora Toru, decaduto nel limbo degli alberghi ad ore dopo aver lavorato in un grande hotel a cinque stelle (e ce lo ripete spesso, ad ogni occasione...). La sua ragazza sta per tentare la fortuna nel campo della musica e non sa del lavoro di lui. Nell'arco di una giornata si svolgono gli eventi raccontati: una finestra sul mondo osservato attraverso i personaggi che vanno e vengono dall'albergo.
Dapprima Toru stesso scopre che la sorella si è data al porno viste le difficoltà della famiglia colpita dallo tsunami e che è in procinto di girare una scena nell'albergo, poi anche la fidanzata si ritrova in una stanza con un produttore discografico che dovrà decidere del suo futuro. Attorno a lui si muovono: un'immigrata coreana, una squillo che esercita proprio nell'hotel, alle prese con problemi sentimentali con il suo fidanzato a causa di una profonda incomunicabilità; una inserviente dell'albergo che nasconde il suo uomo, ex delinquente (ma neppure troppo...) in attesa che scatti la prescrizione, a mezzanotte esatta; un tirapiedi procacciatore di ragazze squillo che si innamora della tenera fanciulla adescata e che passerà i guai coi gangster; e infine una coppia quasi comica di poliziotti indecisi tra il piacere proibito ed il dovere di applicare la giustizia (soprattutto lei...).
Nonostante la carrellata di personaggi sopra le righe, tutti ispirano sincera simpatia, combattuti tra la irreprensibilità e il rischio della frequentazione dell'albergo e la loro passione; anche quelli che all'apparenza appaiono più detestabili, in fondo in fondo ispirano quasi tenerezza. Toru sia aggira come fosse un osservatore supremo su questa umanità variegata pur essendo proprio lui forse il personaggio più combattuto tra un lavoro che detesta e la voglia di rivalsa da sbattere in faccia alla fidanzata.
E' bene dire subito che alla luce degli ultimi lavori visti di Hiroki, Tokyo Love Hotel è quasi un capolavoro o, meno pomposamente, un lavoro che non è da disprezzare in toto: nulla in paragone a quelli di oltre dieci anni or sono, ma la tematica della solitudine e della difficoltà a relazionarsi in un ambiente estraniante quale sembra essere la megalopoli giapponese è tutto sommato ben sviluppata e soprattutto i personaggi sono costruiti con efficacia. Nonostante il film si svolga nelle sue due ore e un quarto tutto nell'hotel, il ritmo, pur senza impennate particolari, è accettabile e la pellicola non cade certo nel difetto di esser claustrofobica: il via vai di personaggi, ognuno con la sua storia, più o meno approfondita, è uno spaccato di un malessere generalizzato che si consuma nelle forme più disparate in cui il sesso, molto minimalista, ha il suo ruolo tra le luci al neon lampeggianti e le stanze kitsch.

Il tono che sovente scivola nella commedia contribuisce ad alleggerire il racconto e questo è un pregio per un film che avrebbe potuto facilmente cadere nella noia. Di certo siamo di fronte ad un lavoro comunque leggero in cui trovano spazio molto edulcorate e sommesse le tematiche del miglior Hiroki. Appurato che Shota Sometani ormai è onnipresente in ogni produzione nipponica, la prova migliore la offrono senz'altro la coreana Lee Eun-woo, la squillo, Kaho Minami, l'inserviente che nasconde al mondo il suo uomo, e Aoba Kawai, la poliziotta che non riesce a rinunciare al suo ruolo neppure quando si lancia in torbide e focose relazioni extraconiugali.
Quanto detto in passato riguardo a Ryuichi Hiroki rimane però drammaticamente valido: dove è finito quel regista che ci incantò con Vibrator e It's Only Talk?


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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