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The Coffin in the Mountain - Recensione (Venezia 71 - Settimana della Critica)

Il giovane talento cinese Xin Yukun si affaccia nella cinematografia con un thriller-noir-drama incentrato sulla proprietà di una bara contenente un corpo misterioso all'interno di un piccolo villaggio della Cina. Tutti vogliono questa bara per risolvere i propri mali e per non morire

Quel corpo dentro quella bara non trova pace. Passa da un proprietario all'altro, dal cimitero al giardino privato di una casa, dalle lacrime alla disperazione di alcuni familiari, ai volti sbigottiti di altri. Chi osserva e organizza i passaggi è il capo-villaggio di un piccolo paesino della Cina. Questo prima indice il funerale del marito violento e fedifrago di una donna, morto accidentalmente fuori città, salvo poi rimanere sorpreso quando osserva la vedova annullare tutto dopo aver scoperto che il marito è morto, ma in altra circostanza e in altro luogo. Così il cadavere senza nome, per giunta carbonizzato, passa nelle mani di due fratelli poverissimi che inscenano il finto funerale del loro terzo consanguineo, per evitare la vendetta dei creditori del presunto defunto. Sembra essere questa la soluzione al mistero del cadavere e della bara, ma solo il capo-villaggio è a conoscenza della verità che con molta incredulità riguarda suo figlio, con cui non ha nessun tipo di rapporto, e la vera o falsa gravidanza della sua compagna.
Più che un thriller, l'opera prima del giovane regista cinese Xin Yukun è un noir dai toni luminosi. La pellicola non affonda nel mistero più cupo, ma si mantiene in uno stato di continua comprensione, di chiarimento costante. La luce che illumina il mistero si trova nell'azione del regista che aggiunge, con il procedere della storia, nuove rivelazioni, elementi narrativi che dipanano il mistero e conducono al vero colpevole. In questo processo, quindi, personaggi deplorevoli, come il marito ubriacone e violento creduto morto dalla moglie, può essere redento dalle sue colpe, mentre la purezza e l'onestà del capo-villaggio si infanga, fino a scoprire una verità davvero scomoda a lui connessa.
La bara e il corpo in essa contenuto, quindi, assumono il valore di assicurazione sulla vita, di garanzia per tutti coloro che non vogliono morire. “Meglio lui che io” sembrano affermare gli abitanti del villaggio.Tessendo questa fitta rete di sotterfugi, tradimenti, persecuzioni, atti criminali, Xin Yukun porta sullo schermo l'amoralità umana, la sua furbizia e negatività che arriva a sporcare anche l'indiscussa figura del capo-villaggio. Il denaro diviene, così, il propulsore malvagio delle azioni e reazioni degli abitanti; la religione è solo un affare per nuove opportunità in grado di sancire definitivamente una sporca verità. Il lutto è finzione, è raggiro, e anche in questo caso, assume il ruolo di possibilità per nascondere i mali. L'orizzonte del piccolo villaggio cinese diventa, quindi, l'archetipo di una nuova umanità, sbigottita, rabbiosa, incredula e isterica, in cui le loro secolari tradizioni si distruggono piano piano.

Questo è Binguan (titolo internazionale The Coffin in the Mountain), ossia un film che si rivela con lo spettatore, senza attese o premesse. Il giovane regista gioca con chi guarda per mostrargli fino a che punto è capace di arrivare la bassezza umana.

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