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Over the Fence - Recensione

Nobuhiro Yamashita porta sul grande schermo una storia d'amore disfunzionale raccontandola con minimalismo, sensibilità e il solito sguardo attento e affettuoso verso i personaggi. Ai quali danno spessore le ottime prove di Joe Odagiri e di Yu Aoi

Il titolo, Over the Fence (letteralmente oltre la recinzione), riprende un termine del baseball. In pratica un modo per indicare l'home run, un fuoricampo. E la storia culmina proprio con una partita. Non di baseball in realtà, ma di un suo derivato: il softball. Niente di eroico sportivamente parlando, ovviamente. Si parla di un film di Nobuhiro Yamashita, dove i personaggi principali sono quasi sempre fannulloni, sbandati, perdenti. Sul campo, contro dei meccanici, uomini disoccupati che frequentano una scuola professionale per falegnami. Quella che decide di seguire anche il protagonista, Shiraiwa, tornato dopo la separazione dalla moglie nella sua città natale: Hakodate, nella regione dell'Hokkaido.
E sull'ambientazione bisogna ricordare che il film è basato su un libro di Yasushi Sato, scrittore (morto suicida) originario proprio di Hakodate, che ha raccontato storie drammatiche, sullo sfondo della più settentrionale delle isole principali dell'arcipelago giapponese, già diventate altri film: Sketches of Kaitan City di Kazuyoshi Kumakiri (tra l'altro senpai di Yamashita, che ha iniziato come suo assistente) e The Light Shines Only There diretto da Mipo Oh, ma sceneggiato da Ryo Takeda che ha curato anche l'adattamento di Over the Fence. Film, quest'ultimo, presentato al Far East Film Festival 2017 di Udine, dove si respira una tensione drammatica più bassa e dove l'ambientazione è meno protagonista in confronto ai precedenti. In questo senso sembra evidente la mano di Yamashita, da una parte più abituato a un registro da commedia (anche se spesso agrodolce) e dall'altra sempre interessato maggiormente ai personaggi rispetto a quello che li circonda. Così succede nel film che si focalizza su Shiraiwa e il suo rapporto con Satoshi, una donna bella e stravagante che incontra una sera in locale dove lei fa la hostess. Lui che sembra trascinarsi senza una direzione, oppresso dal senso di colpa legato al dramma che lo ha portato al divorzio. Lei ragazza problematica con segni di almeno un lieve squilibrio mentale. Di quei personaggi ai margini insomma che popolano il cinema di Yamashita, sui quali l'autore (non firma più le sceneggiature come a inizio carriera, ma si vede il suo marchio autoriale) poggia sempre il suo sguardo. Mai cinico, al contrario dichiaratamente affettuoso. La regia senza fronzoli, pulita, accompagna un racconto che pur imperfetto, per via di qualche momento superfluo nella seconda parte, e con un finale abbastanza telefonato, arriva al cuore dello spettatore senza scendere nel melodramma.

Una tappa sicuramente importante nel percorso registico di Yamashita, che porta sul grande schermo una storia d'amore disfunzionale raccontandola con minimalismo, sensibilità e il solito sguardo attento e affettuoso verso i personaggi. Ai quali danno spessore le ottime prove di Joe Odagiri e soprattutto di Yu Aoi, in un ruolo insolito per lei.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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