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La forma della voce - Recensione

Dal manga di Yoshitoki Oima, un film sul bullismo che affronta temi delicati come disabilità, solitudine e depressione con sensibilità e un lavoro grafico capace di esaltare la forza espressiva ed emotiva del linguaggio animato

Da qualche anno Nexo Digital, in collaborazione con Dynit, porta nelle sale i migliori film giapponesi d'animazione che, dopo il successo in patria, dimostrano buoni numeri al botteghino anche in Italia nonostante una distribuzione limitata di solito a due giorni durante la settimana di uscita. Tra gli appuntamenti di Anime al cinema, questo il titolo del progetto, c'è anche quello con La forma della voce. Diretto da Naoko Yamada, e tratto dall’omonimo manga di Yoshitoki Oima, il lungometraggio tratta temi importanti come il bullismo nelle scuole, la difficoltà di socializzazione, la depressione e il non sentirsi adeguati da parte degli adolescenti.
Shoko è una bambina sorda che viene bullizzata da alcuni compagni di classe, tra cui Shoya, un ragazzino che la maltratta pesantemente costringendola al trasferimento. A questo punto la storia si sposta qualche anno più avanti, al liceo: i ragazzi sono cresciuti e cambiati. Shoya rincontra Shoko e oppresso dal senso di colpa cerca di avvicinarsi alla ragazza.
Il film racconta le difficoltà di entrambi. Non solo quelle di lei, che partono ovviamente dall'handicap della sordità, ma anche quelle di lui che si scopre solo e incapace di relazionarsi con le altre persone, tanto da non riuscire quasi a guardarle negli occhi e sostituendo il loro volto con una X. Shoya è tormentato dal passato, quello di un bullo a sua volta bullizzato. Identificato come capro espiatorio, rifiutato dagli altri. Sa di aver sbagliato, non si perdona, accetta la sua condanna passivamente isolandosi da tutto e da tutti. Il nuovo incontro con Shoko è l'inizio di un difficile percorso di redenzione interiore, di affrancamento dal passato, da sbagli e problemi che pesano come macigni. Ma si possono superare, senza rinchiudersi in se stessi e abbattendo quel muro che si costruisce a difesa e finisce spesso per diventare una gabbia. Questo sembra essere il messaggio finale del film che convince di più, però, nella parte introduttiva, affrontando con realismo il tema del bullismo che va oltre all'atto violento e si consuma in una serie di atteggiamenti e connivenze collettive, e nella fase centrale che sviluppa il rapporto tra Shoya e Shoko utilizzando in modo interessante anche i personaggi secondari. Su tutti Naoka, ben caratterizzata, meno monodimensionale rispetto agli altri presenti all'interno di una storia che nel finale eccede nel concentrarsi troppo sui problemi esistenziali dei protagonisti, scadendo un po' nella spudorata ricerca della lacrima dello spettatore con soluzioni forzate.
Dal punto di vista grafico, manco a dirlo, il film è ottimo: dietro c'è lo studio Kyoto Animation, già produttore di serie televisive di culto. La regia è funzionale alla narrazione, non ha paura di concedersi momenti di silenzio e di scegliere un ritmo adatto a raccontare la quotidianità, indugiando sui luoghi e i piccoli gesti che arricchiscono la storia.

Un film dalle tante sfumature, che affronta temi delicati come bullismo, disabilità, solitudine e depressione con grande sensibilità. Servendosi con sapienza della forza espressiva ed emotiva del linguaggio animato.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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