News, recensioni, approfondimenti sul cinema asiatico

Ti trovi qui:HomeCinema e dintorniAsiaBalangiga: Howling Wilderness - Recensione (Across Asia Film Festival 2018)

Balangiga: Howling Wilderness - Recensione (Across Asia Film Festival 2018)

Il massacro di Balangiga. Una pagina straziante della storia filippina, raccontata attraverso lo sguardo di un bambino da Khavn De La Cruz, in un film denso di simboli ed emozionante

Khavn De La Cruz è un autore prolifico, mai però un suo film aveva ottenuti così tanti riconoscimenti. Balangiga: Howling Wilderness ha ricevuto infatti diversi premi agli ultimi Famas Awards (che sono i più antichi del cinema filippino), ai Gawad Urian Awards (assegnati da una commissione di critici) e al Quezon City International Film Festival dove il lungometraggio ha avuto la sua prima assoluta. Riconoscimenti assolutamente meritati per un film dal forte impatto visivo ed emozionale.
La storia è ambientata nel 1901, nell’isola di Samar occupata dagli Stati Uniti. Quando una sommossa del popolo filippino intorno alla cittadina di Balangiga porta alla morte di diversi soldati americani, si scatena la rappresaglia dell’esercito a stelle e strisce. Niente prigionieri è in pratica l’ordine del generale Jacob H. Smith. Un vero massacro al quale cercano di sfuggire il piccolo Kulas, otto anni, e suo nonno insieme a un carabao (un bufalo molto diffuso nel Sud-est asiatico) e alle poche provviste che sono riusciti a prendere. Il bambino sogna di ricongiungersi alla madre che a detta del nonno ha trovato rifugio in un paese lontano, così in mezzo a uno scenario di distruzione e morte i due si mettono in viaggio. Il tragitto, tra continui pericoli e la fame incombente, è segnato anche da un incontro particolare. Passando tra i resti di un villaggio messo a fuoco e un mare di cadaveri, sentono il pianto di un bambino di circa di due anni: Kulas decide di prendersene cura e gli dà il nome di Bola. Quando il nonno si ammala e poco tempo dopo muore, Kulas e Bola si ritrovano a dover sopravvivere da soli in una landa - come suggerisce il titolo - desolata e ululante.
Il rapporto con la storia, il passato coloniale, la memoria individuale e collettiva, sono riflessioni al centro della produzione di diversi registi asiatici indipendenti (per le Filippine viene subito in mente Lav Diaz) che sono poi gli autori a cui guarda l’Across Asia Film Festival dove Khavn De La Cruz ha presentato, in prima italiana, il suo lungometraggio pluripremiato. Cicatrici storiche, spesso tenute celate ma indelebili, come quella che il poliedrico autore ha scelto di raccontare con Balangiga: Howling Wilderness. Lo ha fatto con una rappresentazione originale, fedele al suo stile così personale ma con dei cambiamenti rispetto ad altri precedenti lavori. Una visione in qualche modo più sobria rispetto agli eccessi punk che lo hanno reso famoso. Lo richiedeva il racconto e un’ambientazione non urbana, prediletta nella sua produzione. Lo spazio assume particolare importanza e lo scenario naturale è restituito con sapiente utilizzo di campi lunghi e inquadrature dall’alto che scandiscono la narrazione. I dialoghi non sono molti, a parlare sono soprattutto i gesti e il volto del giovanissimo protagonista Justine Samson. Davvero bravo, in un ruolo impegnativo, e ben diretto da Khavn De La Cruz che accompagna il racconto del viaggio dei protagonisti con passaggi onirici, i sogni di Kulas come quello di un carabao volante, e immagini anche spiazzanti cariche di simbolismo. Dalla sagoma di un uccello costruito con vari oggetti che sembra un evidente richiamo all’aquila dello stemma statunitense all’uccisione da parte di un soldato incontrato lungo il cammino del carabao (uno dei simboli del Paese) al momento in cui Kulas entra nella carcassa sventrata dello stesso animale (e non si tratta di ripararsi dal freddo come Di Caprio in Revenant - Redivivo). Il grottesco e la violenza necessaria a sottolineare le atrocità commesse si associano a un’elegia della purezza dei bambini, vittime innocenti. Significativo il modo in cui Kulas sceglie di prendersi cura del piccolo diavolo, così lo chiama il nonno quando lo trovano tutto ricoperto di fango e fuliggine prima che venga ribattezzato Bola, pur trovandosi in una situazione disperata che seguendo una fredda logica porterebbe a non interessarsene. La scelta di un bambino, carica di una pietà istintiva. Di una dolcezza, mista a tristezza, che restituisce anche la bella colonna sonora composta al piano dallo stesso regista.

Una pagina straziante della storia filippina che Khavn De La Cruz affronta in modo personale costruendo un racconto intenso, simbolico ed emozionante.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

  Vai alla scheda del film
  Trailer del film


Video

Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

Lascia un commento

Assicurati di inserire (*) le informazioni necessarie ove indicato.
Codice HTML non è permesso.

Questo sito utilizza cookie per il suo funzionamento. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. Se vuoi avere maggiori informazioni, leggi la Cookies policy.