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Venezia 75, ritorno al futuro: riflessioni finali sulla Mostra 2018

Il Leone d’oro a Roma di Alfonso Cuaron è non solo il giusto riconoscimento per uno dei film più belli visti in Concorso, ma anche un segno che la kermesse del Lido, pur se tra alcune contraddizioni, è tornata a riappropriarsi del suo antico vessillo di baluardo del rinnovamento cinematografico

A poco più di una settimana dalla fine della 75esima Mostra del Cinema di Venezia, dopo aver avuto il tempo di rielaborare a mente fredda un programma che ci ha ‘felicemente costretto’ a visionare 36 titoli sparsi in varie sezioni (ne avremmo voluto vedere di più, ma avremmo rischiato di morire per sfinimento), vorremmo aggiungere alcune considerazioni all’inesistente dibattito (escluse poche eccezioni sul Web) sul lascito di questa edizione della rassegna veneziana. Sarà che il programma elefantiaco (per numero e minutaggio dei film) è stato massacrante (chi vi scrive ha raggiunto un totale di 70 ore di visione in sala), fatto sta che ci si è limitati troppo sbrigativamente a liquidare Venezia 75 come un’edizione qualsiasi delle ultime targate Alberto Barbera (il direttore che dal 2012 è tornato al timone della Mostra). I più temerari hanno provato tutt’al più a cavalcare la polemica degli esercenti contro Netflix, ma questo è un discorso che affronteremo più avanti. In realtà Venezia 75 ha detto molte cose: è stata soprattutto un’edizione che potrebbe aver dato definitivamente nuovo slancio alla rassegna nel panorama cinefestivaliero mondiale, di sicuro è quella che ha mostrato la vera fisionomia dell’opera di ristrutturazione portata avanti da Barbera dal momento del suo secondo insediamento.  

La qualità della selezione è stata, in generale, più che buona, e solo in alcuni frangenti ha lasciato alquanto a desiderare. Il livello qualitativo medio dei titoli proposti era il migliore da molti anni a questa parte, la selezione del concorso, se escludiamo poche eccezioni, è stata molto stimolante, anche quando i film non hanno convinto del tutto. È mancata la rivelazione, non c’è stato il film-sorpresa che scompagina le previsioni o che rivela un nuovo talento, così come non si è visto nessun capolavoro o qualcosa che potesse avvicinarsi a essere definito come tale. È stata una vera Mostra, come l’attendevamo da anni, con varie anime cinematografiche che cercavano di dialogare con sensibilità diverse. Abbiamo amato Roma di Alfonso Cuaron, Doubles vies di Olivier Assayas, Zan di Shinya Tsukamoto e su tutti il ritorno postumo di Orson Welles con l’inclassificabile The Other Side of the Wind, un film che è sbarcato come un UFO sugli schermi della Mostra, uno stupore che non provavamo dai tempi di INLAND EMPIRE - L'impero della mente di David Lynch, quando c’era direttore Marco Muller. Abbiamo detestato Acusada di Gonzalo Tobal e The Mountain di Rick Alverson: due colossali inciampi che non ci aspettavamo di trovare nel programma di un festival come Venezia. Ci sono film che probabilmente esprimeranno il loro potenziale con una seconda visione: l’ipnotico ed elegante Sunset di Laszlo Nemes ha lasciato l’amaro in bocca, ma forse ha bisogno di un periodo di decantazione. La giuria presieduta da Guillermo del Toro ha solo in parte saputo rendere giustizia al lavoro di selezione: bene il massimo riconoscimento alla pellicola di Cuaron, ma ci è voluto coraggio ad escludere Assayas, peraltro piaciuto praticamente a tutti, pubblico e critica.

Il Leone d’oro a Roma ha segnato una novità assoluta: è infatti la prima volta che il massimo riconoscimento di uno dei tre festival più importanti al mondo viene assegnato a un film di cui si sapeva che la distribuzione sarebbe stata affidata a una piattaforma online piuttosto che al circuito delle sale. Sembra un dettaglio da poco, quasi casuale. È invece una novità assoluta destinata a tracciare un prima e un dopo nella storia di Venezia e forse del mondo cinefestivaliero. La massiccia presenza di titoli targati Netflix e Amazon, i due colossi che propongono in esclusiva la distribuzione di film e serie tv on demand, è il punto di arrivo di una visione della missione della Mostra che è cambiata nel corso dell’ultima gestione dell’era Barbera. Fino ad alcuni mesi fa il regolamento della Mostra recitava che l’obiettivo della manifestazione era “di segnalare, con la maggiore chiarezza possibile, opere cinematografiche che testimoniano del progresso del cinema come mezzo d’espressione artistica, scientifica o didattica”. Ora le cose sono un po’ cambiate, come testimonia la modifica a quello stesso regolamento apportata quest’anno: “La Mostra vuole favorire la conoscenza e la diffusione del cinema internazionale in tutte le sue forme di arte, di spettacolo e di industria”. Non è una banale questione di semantica, ma l’espressione di una Mostra che pensa che l’evoluzione dell’arte cinematografica sia ormai, e irrimediabilmente, strettamente legata anche ai processi industriali. Netflix e Amazon sono il segno di come il cinema nella sua forma più nobile possa prosperare in altri recinti distributivi e produttivi rispetto a quelli tradizionali. Un film come quello di Cuaron, in bianco e nero, parlato in spagnolo, lungo più di due ore, fortemente ancorato a una realtà autobiografica, avrebbe avuto pochissime chance di vedere la luce senza Netflix (per stessa ammissione dello stesso regista, peraltro). Lo stesso vale per i Coen e il loro strampalato esperimento antologico di The Ballad of Buster Scruggs, le cui storie sono rimaste nei cassetti del duo di registi per venticinque anni prima di avere l’opportunità di trasformarsi in film. Netflix e Amazon sono l’espressione di un cambiamento della fruizione del cinema in atto già da tempo. Inutile nascondere che ci sono generazioni di cinefili che ormai da molti anni cercano di sopperire alla censura del mercato distributivo tradizionale trovando metodi ‘alternativi’ per vedere, tra le mura domestiche in tv o sul monitor del computer, un film dall’Estremo Oriente come una pellicola indie del mercato americano. Gli esercenti dovrebbero farsi un esame di coscienza anziché inorridire di fronte al trionfo di Netflix a Venezia. La distribuzione italiana si è rivelata o lacunosa o inadeguata nel distribuire i film cosiddetti ‘da festival’, spesso afflitti da uscite in periodi improbabili, doppiaggi imbarazzanti e da una diffusione quasi fantasma sugli schermi nazionali. Basti pensare il trattamento riservato a The Woman Who Left di Lav Diaz, vincitore del Leone d’oro nel 2016, mai uscito nelle sale (!) nonostante fosse stato acquistato da Microcinema, che dopo il suo fallimento ha ceduto i diritti a Fil Rouge Media. Che ben vengano dunque realtà facilmente accessibili come Netflix e Amazon, nella speranza che i loro cataloghi possano accogliere sempre più film coraggiosi e peculiari, senza disdegnare un sistema, pur se limitato, di distribuzione nelle sale, perché il grande schermo resta il riferimento per la visione cinematografica (pare che Netflix si stia già muovendo in questa direzione, difatti Roma dovrebbe avere anche una distribuzione limitata nelle sale negli Stati Uniti). D’altronde il successo di molte uscite-evento negli ultimi anni (quei film distribuiti solo per pochi giorni nei cinema) dimostra che, quantomeno per alcuni lavori rivolti a un pubblico specifico, una distribuzione limitata nel tempo è un fattore che incentiva gli spettatori a partecipare alle proiezioni.       

Il cinema si avvia probabilmente verso un equilibrio tra le uscite in sala e le fruizioni domestiche, in un sistema virtuoso in cui le une spingono le altre e viceversa. Venezia ha saputo intercettare questo cambiamento come è nella sua natura di sismografo del presente del cinema. Grazie anche all’atteggiamento conservativo di Cannes, che ha rigettato Netflix e Amazon non potendo mettersi contro l’apparato dell’industria cinematografica francese, che grazie alle sue capacità produttive e distributive ha fatto la fortuna della kermesse (basti pensare al Mercato dei Film e a tutto il sistema delle coproduzioni internazionali) ma che ora non vede di buon occhio la concorrenza dei due colossi americani, soprattutto in virtù della legge francese che impedisce la distribuzione di un film in streaming per i primi 36 mesi dall’uscita nelle sale.
Se Venezia saprà fare tesoro di questo piccolo ma importante vantaggio nei confronti della sua rivale francese, e se Barbera e il suo team dal canto loro riusciranno a limare alcuni aspetti negativi della selezione (l’eccessiva predilezione per alcune aree geografiche, Nord e Sud America su tutte) spendendo un po’ del credito guadagnato negli ultimi anni per andare oltre la stagionalità dell’offerta cinematografica e strappare con largo anticipo alcuni titoli alla concorrenza, se tutto questo si verificherà siamo sicuri che per la Mostra la strada è spianata verso un futuro radioso come lo fu per Cannes con l’avvento del Mercato dei Film.

Il palmares di Venezia 75

CONCORSO

LEONE D’ORO per il miglior film a:
ROMA
di Alfonso Cuarón (Messico)

LEONE D’ARGENTO - GRAN PREMIO DELLA GIURIA a:
THE FAVOURITE
di Yorgos Lanthimos (UK, Irlanda, USA)

LEONE D’ARGENTO - PREMIO PER LA MIGLIORE REGIA a:
Jacques Audiard
per il film THE SISTERS BROTHERS (Francia, Belgio, Romania e Spagna)

COPPA VOLPI
per la migliore interpretazione femminile a:
Olivia Colman
nel film THE FAVOURITE di Yorgos Lanthimos (UK, Irlanda, USA)

COPPA VOLPI
per la migliore interpretazione maschile a:
Willem Dafoe
nel film AT ETERNITY’S GATE di Julian Schnabel (USA, Francia)

PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a:
Joel Coen e Ethan Coen
per il film THE BALLAD OF BUSTER SCRUGGS di Joel Coen e Ethan Coen (USA)

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA a:
THE NIGHTINGALE
di Jennifer Kent (Australia)

PREMIO MARCELLO MASTROIANNI
a un giovane attore o attrice emergente a:
Baykali Ganambarr
nel film THE NIGHTINGALE di Jennifer Kent (Australia)

OPERA PRIMA

LEONE DEL FUTURO
PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS”

YOM ADAATOU ZOULI (THE DAY I LOST MY SHADOW)
di Soudade Kaadan (Repubblica Araba Siriana, Libano, Francia, Qatar)
(ORIZZONTI)

ORIZZONTI

il PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR FILM a:
KRABEN RAHU (MANTA RAY)
di Phuttiphong Aroonpheng (Thailandia, Francia, Cina)

il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE REGIA a:
Emir Baigazin
per il film OZEN (THE RIVER) (Kazakistan, Polonia, Norvegia)

il PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA ORIZZONTI a:
ANONS (THE ANNOUNCEMENT)
di Mahmut Fazıl Coşkun (Turchia, Bulgaria)

il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE INTERPRETAZIONE FEMMINILE a:
Natalya Kudryashova
nel film TCHELOVEK KOTORIJ UDIVIL VSEH (THE MAN WHO SURPRISED EVERYONE) di Natasha Merkulova e Aleksey Chupov (Russia, Estonia, Francia)

il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIOR INTERPRETAZIONE MASCHILE a:
Kais Nashif
nel film TEL AVIV ON FIRE di Sameh Zoabi (Lussemburgo, Francia, Israele, Belgio)

PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a:
Pema Tseden
per il film JINPA di Pema Tseden (Cina)

PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR CORTOMETRAGGIO a:
KADO
di Aditya Ahmad (Indonesia)

il VENICE SHORT FILM NOMINATION FOR THE
EUROPEAN FILM AWARDS 2018 a:
GLI ANNI
di Sara Fgaier (Italia, Francia)


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