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Far East Film Festival 2018: intervista a Ryoo Seung-wan e Hwang Jung-min

L’attore e il regista coreani ci parlano di The Battleship Island, presentato a Udine nella sua versione director's cut

Uno degli attori più amati, Hwang Jung-min, e uno dei registi più versatili, Ryoo Seung-wan, del cinema coreano. Insieme al Far East Film Festival di Udine per presentare due film: il poliziesco Veteran e soprattutto il kolossal The Battleship Island (al festival proposto nella versione director’s cut) che racconta l’odissea e la rivolta di centinaia di coreani nell’isola di Hashima nel 1944 sotto il dominio giapponese. Abbiamo incontrato l’attore e il regista per parlare del film e non solo.

Negli ultimi anni il cinema coreano sembra avere un rapporto sempre più stretto con la storia del Paese. È così?

Ryoo Seung-wan: Normalmente nell'industria cinematografica coreana la maggior parte dei film racconta storie contemporanee, ma è vero che una buona parte si concentra anche sul passato. A differenza del cinema americano non abbiamo quasi mai storie che riguardano il futuro. Penso sia così anche in Italia. I coreani come gli italiani sono un popolo molto attaccato al passato e forse è questo il motivo che ci spinge a realizzare film di questo tipo.

Hwang Jung-min: Come sapete la Corea in poco tempo ha vissuto momenti difficili: prima la Seconda guerra mondiale e subito dopo la guerra tra le due Coree. Negli anni successivi poi ha vissuto una modernizzazione molto rapida, c’è stato un grande sviluppo basato sul liberismo industriale, e oggi è uno dei Paesi più potenti a livello economico e finanziario. Tutto è avvenuto velocemente, senza fasi graduali, lasciando irrisolte anche certe questioni sociali, ed è per questo che probabilmente i film parlano spesso del passato recente. Il nostro cinema oggi sta elaborando la storia coreana del Novecento.

E lei come attore non è la prima volta che si ritrova a interpretare personaggi che attraversano la storia coreana moderna. Basta pensare oltre a The Battleship Island anche a Ode to My Father, che qui a Udine è stato premiato qualche anno fa.

Hwang: Non lo sapevo. Davvero è stato premiato? Comunque sì, tutti e due parlano della storia della Corea, ma io come attore mi sono concentrato soprattutto sul ruolo come uomo, cittadino, padre in entrambi i film.

Film, entrambi, dove ci sono scene in miniere. Ormai deve essere un esperto.

Hwang: (Ride) In Ode to My Father ho fatto scene nelle miniere molto faticose, così ho chiesto al regista di non inserirmi come minatore in questo film. Il mio personaggio lavora all’esterno, come musicista.

In una situazione difficile, durante la guerra e l’occupazione giapponese. Com’è stato confrontarsi con un periodo storico così delicato?

Ryoo: Sicuramente il nostro è un film scomodo, politicamente parlando. Quando abbiamo iniziato a lavorare a The Battleship Island, la situazione era particolare in Corea. C'era molta tensione con il Giappone, tra i governi, e lavorare a questo film non è stato facile. Da parte di tutto lo staff c'era tanta preoccupazione, però siamo riusciti a farlo e sono contento del risultato.

Quando ho visto il film e ho visto che lo ha terminato con l'esplosione dell'atomica sganciata dagli americani su Nagasaki è stato un po' uno shock perché questa trovata ribalta bruscamente la prospettiva del film e mostra che la reale crudeltà non è dalla parte dei giapponesi né dei coreani bensì nella guerra in sé che rende gli uomini mostri. Mi chiedo se la mia interpretazione sia corretta e se questa fosse la funzione intenzionale del finale.

Ryoo: Sì! Vorrei proprio darle un premio perché la sua interpretazione è perfetta, è proprio quello che volevo comunicare con quel finale/epilogo.

Posso chiederle anche come mai ha deciso di inserire un pezzo di Ennio Morricone (The Ecstasy of Gold da Il buono, il brutto e il cattivo) in una delle scene di azione di The Battleship Island?

Ryoo: Non c'è una ragione precisa, mi è successo di ascoltare molto quel brano mentre stavo filmando. Lo ascoltavo in continuazione e non riuscivo a togliermelo dalla testa. Lo trovo molto interessante e quando ero nella fase di montaggio ho seguito per le immagini il ritmo di quel brano e così ho deciso di usarlo. Ho telefonato a Morricone e lui gentilmente ha acconsentito che lo utilizzassi. Quindi non so spiegare bene perché è successo, ma è successo così, in modo naturale.

Quindi mi pare di capire che abbia un interesse nel cinema italiano?

Ryoo: Sì, infatti ci sono altri riferimenti al cinema Italiano nel film. Per esempio il personaggio della bambina e la connessione con il padre ammiccano a padre e figlio di La vita è bella di Benigni dove l'elemento comico è inserito per proteggere la bambina e per far sì che non si accorga dell'inferno in cui si trova. È il modo che ha il padre di proteggerla e schermarla. C'è anche una scena che è solo nel Director's Cut dove si vedono gli occhi da pazzo del direttore della colonia penale mentre brucia i registri, sovrapposti alle scene di fuga dei coreani e del fuoco, che è ispirata a Dario Argento, con una musica di sottofondo in contrasto con le immagini violentissime.

Vi siete ritrovati a lavorare insieme dopo altri film, quindi ormai vi conoscete bene. Quali sono le caratteristiche che apprezzate di più uno dell’altro?

Hwang: È un regista molto preciso nel suo lavoro, io lo definirei un tuttofare. Trova la situazione per ogni problema, in tutte le circostanze. Questo perché sicuramente si prepara a lungo prima di iniziare le riprese. Ho piena fiducia in lui. C'è un detto che dice “la nave non può andare in montagna”, ma se lui dovesse dire il contrario io ci crederei.

Ryoo: Ci sono diversi motivi per cui mi trovo bene a lavorare con lui. Prima di tutto sul set assume senza problemi il ruolo del cattivo al posto mio, così posso fare la parte del buono. E poi quando capita di andare a mangiare o bere qualcosa insieme, lui è sempre il primo ad aprire il portafogli e così io non devo pagare! Più seriamente posso dire che ha sempre idee brillanti per migliorare alcune scene, mi dà ottimi consigli. E mi piace sottolineare che oltre a essere un grande attore è davvero una brava persona. Capita spesso si presenti prima dello staff sul set, per aiutare gli altri. Anche se ormai è un divo, una stella in Corea, è rimasto umile e io lo apprezzo molto.

Hwang: (Interviene sulla questione della fama) Mi definiscono un attore famoso in Corea, però a me non è mai importata la fama. Mi interessa fare le cose che mi piacciono e per questo al liceo avevo creato un gruppo di teatro, perché amavo tanto recitare. E lo faccio ancora oggi con la stessa passione di allora.

E nel corso della carriera ha dimostrato di essere un attore incredibilmente versatile ed eclettico. Ha ricoperto ruoli che vanno dal comico al romantico, interpretando da psicopatici ad artisti marziali e immagino sia molto bravo a distanziarsi dai suoi ruoli. Ma c'è stato in tutta la sua carriera un ruolo che lo ha emozionalmente coinvolto e che è stato difficile scrollarsi di dosso?

Hwang: (Ci pensa molto) No, non mi pare, direi di no. Riesco sempre a differenziare i ruoli dalla realtà ed uscire completamente dal personaggio una volta finito di girare e quando vado a vedere il film finito posso veramente godermelo e apprezzarlo perché quello che vedo sullo schermo è come fosse un'altra persona.


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