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Far East Film Festival 2018: intervista a Sabrina Baracetti

“Guardare indietro per guardare avanti”: la direttrice della rassegna di Udine ci parla dell’edizione numero 20, un traguardo importante che sarà celebrato con lo sguardo rivolto al futuro

Questa sera il Far East Film Festival di Udine, la più importante rassegna pensata per offrire una mappatura del cinema popolare asiatico, prenderà il via con lo spy action coreano Steel Rain e l’anteprima mondiale del thriller malesiano Crossroads: One Two Jaga. La presenza di molte opere prime e seconde a cui sarà dedicato un premio ad hoc, l’avvento di Netflix e Amazon, l’omaggio alla divina Brigitte Lin sono alcuni dei piatti forti di un festival che cambia pelle senza dimenticare il passato. Ne abbiamo parlato con Sabrina Baracetti, direttrice della rassegna.

Partiamo da uno dei più importanti elementi di novità del FEFF rispetto al passato: la presenza di molte opere prime e seconde, ben 21 su 55 dei titoli in concorso, mai così numerose.
Uno degli elementi del cinema del sud-est asiatico che ci ha sempre attirato è la presenza costante di nuovi registi che si affacciano sul grande schermo. In questo ultimo periodo abbiamo notato elementi di novità soprattutto nella cinematografia coreana ma anche in quella cinese, due realtà che godono di ottima salute. In particolare l’industria del cinema coreano sta sostenendo la nascita e lo sviluppo di nuovi autori, dando prova di vivere un momento economicamente solido ma anche interessante dal punto di vista artistico. Abbiamo cercato di portare a Udine opere prime o seconde molto interessanti anche da Taiwan, ma è sicuramente la Corea quella che fa la parte da leone. C’è poi da dire che le gerarchie tra le cinematografie del sud-est asiatico sono un po’ cambiate rispetto al passato: non a caso abbiamo il film di apertura Crossroads: One Two Jaga che è un’opera malese e il film di chiusura che arriva dall’Indonesia, Night Bus di Emil Heradi, quest’ultimo tra l’altro non fa parte delle opere prime e seconde ma è comunque diretto da un regista al suo terzo lungometraggio.

Come mai per il Gelso bianco per la migliore opera prima o seconda si è preferito affidare la responsabilità della scelta del vincitore a una ristretta giuria di professionisti anziché riproporre la formula tradizionale degli Audience Awards che sono una peculiarità del FEFF?
L’Audience Award continuerà ad essere il premio principale del festival e le stesse opere in gara per il Gelso bianco sono comunque in competizione per il premio del pubblico. Il Gelso bianco agli autori più giovani o ai nuovi registi è nato perché l’edizione di quest’anno è pensata non guardando solamente ai venti anni che abbiamo vissuto ma anche immaginando il cinema del futuro e dei prossimi venti anni. Il traguardo dei venti anni di storia del festival ha chiaramente per noi una certa importanza, ma non deve trasformarsi in una celebrazione fine a se stessa. Quello che vogliamo celebrare è dare più spazio agli autori e ai registi che potranno essere gli autori e i registi dei prossimi vent’anni. Guardare indietro per guardare avanti, per guardare al futuro, insomma: quindi grande attenzione ai nuovi registi e per questo anche l’istituzione di una piccola giuria formata da persone che hanno familiarità con il cinema asiatico. Massimo Gaudioso (uno dei giurati insieme ad Albert Lee e Peter Loehr, ndr.), ad esempio, stava lavorando a un progetto con Johnnie To, uno degli autori con cui siamo cresciuti, progetto che purtroppo non è andato in porto e che però chissà, in futuro potrebbe attrarne altri.

Per la Opening Night avete scelto un film coreano, Steel Rain, che non vedrà mai la luce delle sale visto la sua disponibilità solo sulla piattaforma di Netflix. In tempi in cui ci sono festival che chiudono le porte ai film distribuiti on demand da Amazon e Netflix (vedi Cannes), voi sembrate andare nella direzione opposta. Il prodotto-film e la sua fruizione stanno cambiando, ma non pensate che sia un rischio per i festival la perdita progressiva di centralità del circuito di distribuzione dei cinema con l’avvento di realtà come Amazon e Netflix?  
La nostra posizione sul ruolo di Amazon e Netflix nel mercato cinematografico è un po’ diversa rispetto a Cannes, nel senso che per noi queste due realtà rappresentano una risorsa e non un qualcosa in ‘contrapposizione’. Siamo stati molto determinati nella scelta di Steel Rain perché conoscevamo già il regista e perché il film ci era piaciuto. L’esperienza del pubblico a Udine, questa sera alle ore 20, sarà assolutamente unica: la nostra sarà l’unica proiezione su grande schermo del film al di fuori della Corea con la presenza del regista e dei due interpreti. Questa particolarità l’abbiamo vista come un’opportunità. È chiaro che Netflix fa parte del cinema di oggi e probabilmente farà parte del cinema dei prossimi venti anni: per noi è uno stimolo in più.

La presenza di Brigitte Lin, che ritirerà il Gelso d’oro alla carriera, oltre a essere il giusto tributo a un’icona assoluta, è anche uno dei più bei regali per i cinefili e gli appassionati di cinema orientale: per molti è stata un colpo di fulmine, film come Hong Kong Express hanno segnato l’esperienza cinematografica di tanti spettatori e scatenato l’interesse per i film di Hong Kong e dintorni.
Per noi che abbiamo incominciato a vedere e ad apprezzare i film di Hong Kong venti anni fa, Brigitte Lin è stata un singolo assunto che univa due mondi, Occidente e Oriente. Lo è stata perché ha rappresentato per anni, dalla fine degli anni Ottanta fino ai Novanta, quella che era la faccia del cinema di Hong Kong.

Purtroppo sono giorni frenetici per l’organizzazione del Far East Film Festival 20, il tempo è tiranno e così Sabrina Baracetti è costretta a salutarci quando ancora avremmo voluto liberarci di alcune curiosità.

Si ringrazia per la collaborazione il nostro Massimo Volpe.


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