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Miyazaki, Takahata e Suzuki ovvero lo Studio Ghibli

Può un solo libro racchiudere il lavoro fantasioso e immortale di uno studio di produzione cinematografica? La pubblicazione scritta da Toshio Suzuki assolve pienamente a questo compito, svelando cosa significa lavorare nello Studio Ghibli

Come abbiamo messo in evidenza nella quindicesima puntata del nostro podcast, La Luce del Cinema, scovare, rintracciare, identificare una linea poetica precisa nella filmografia di Hayao Miyazaki è complesso. Il motivo è rintracciabile nella sua volontà di abbracciare le storie che preferisce e che vuole raccontare al suo pubblico. Ci sono degli elementi fissi, soprattutto nelle tematiche, ma la messa in scena, l’organizzazione della parte animata cambia a seconda di quello che vuole raccontare. Toshio Suzuki, storico produttore dei film dello Studio Ghibli, ha cercato, volontariamente o forse no, di percorrere una linea retta nella filmografia di Miyazaki, allargando il discorso a tutti i registi che all’interno dello studio, hanno realizzato un proprio film di animazione. Le considerazioni di Suzuki, le sue riflessioni, la sua vita all’interno del Ghibli è riassunta, sotto forma di diario/intervista nel libro I geni dello Studio Ghibli Hayao Miyazaki e Isao Takahata di Toshio Suzuki, edito Dynit Manga nel 2023. Il titolo originale è Tensai no shiko: Takahata Isao to Miyazaki Hayao di Toshio Suzuki, edito da Bungeishunju Ltd nel 2019. 

Procediamo all’inverso rispetto alle altre riflessioni sui libri che abbiamo pubblicato, partendo dalle considerazioni. Perché questa inversione di rotta? Ve lo diciamo tra poco. I geni dello Studio Ghibli rapisce. Le pagine si divorano, si leggono consecutivamente una dopo l’altra, innanzitutto perché la traduzione affidata a Giuseppe Buttiglione rende fluida e discorsiva la narrazione di Suzuki, ma poi per quello che lui stesso dice. Si evincono vari aspetti, si possono trarre varie considerazioni dalle sue parole. Primariamente che lui stesso è stato, ed è, un produttore come dovrebbe essere. Si è prodigato per trovare nuove storie, ha avuto l’intuizione di escogitare nuove strategie commerciali per promuovere i film del Ghibli, ha coordinato il lavoro di disegnatori, grafici, ideatori al fine di raggiungere un prodotto filmico degno di portare il marchio “Studio Ghibli”, nonostante di film in film la qualità si alzava sempre più. Suzuki è stato soprattutto un ottimo interlocutore, un moderatore eccezionale, un confidente incredibile per Miyazaki e Takahata, soprattutto per il primo. Se Isao, infatti, è descritto come una persona schiva e riservata che si prendeva tutto il tempo che voleva per finire un film, mettendo costantemente alla prova la produzione che doveva tenere buoni i malumori dei distributori e di tutti coloro che partecipavano al processo di sponsorizzazione del film, Miyazaki, dal canto suo, ha intessuto un rapporto particolarissimo con Suzuki. Questo è stato per Miyazaki più di un produttore, ma una persona con cui sfogarsi, per poi tornare alla ragione grazie alla sue parole; un punto di confronto, un interlocutore attento a carpire le esigenze del regista anche quando non erano del tutto esplicite. Si è conquistato il carattere e l’anima del regista piano piano. Che Miyazaki abbia un carattere difficile, è noto, ma che potesse arrivare a scene di insoddisfazione mista ad arrabbiatura e scontro per motivi anche futili, non era immaginabile.

Eppure Suzuki è sempre stato lì, come c’era ogni volta che Miyazaki annunciava che non voleva più fare un film, perché uscito con le ossa rotte dal precedente; il produttore c’è sempre stato ogni volta che il regista de La città incantata inveiva contro Takahata per i tempi troppo lunghi di realizzazione di un film o perché non voleva realizzare un progetto. Suzuki appare, così, come l’anima e il collante dei due geni e di tutti gli altri registi e collaboratori del Ghibli, fino a pensare che Suzuki stesso, forse più di Miyazaki e Takahata, e non prendetevela per quanto stiamo per dire, è davvero lo Studio Ghibli. Il libro fa emergere questo aspetto, forse perché lui ha guardato dall’alto la creazione di ogni singola opera, e forse anche perché Suzuki è davvero un uomo di cinema che viene dall’editoria, ma che ha creduto sempre e costantemente nel cinema come forma di realizzazione artistica. Questo aspetto risalta nelle parole da lui usate, riportate nel libro, nel raccontare i film. Si sente la passione, la voglia; si sentono i suoi sforzi, le sue strategie e tutto l’impegno di cuore e cervello che ha profuso affinché fosse realizzato e c’è sempre riuscito. Quindi i geni dello Studio Ghibli sono Miyazaki e Takahata? Ovviamente sì, perché la loro creatività ha portato a quelle animazioni immortali e ha ispirato gli altri registi dello Studio. Tra loro due, come si vede dall’illustrazione in copertina di Matteo Cerenzia, si pone appunto Suzuki il cui lavoro instancabile, le cui idee e intuizioni, il suo senso del dovere ha permesso di far diventare lo Studio Ghibli quel marchio affidabile di cinema di qualità qual è. Avete dunque compreso perché siamo partiti dalle nostre considerazioni? Perché aver definito la figura di Toshio Suzuki è il lascito più grande di questo libro per chi ama il cinema. Suzuki ha creato il cinema, anzi ha permesso che due geni, come i due registi, avessero la giusta libertà creativa per poterlo realizzare. 

Veniamo ai contenuti. Il libro si fonda su una intervista/dialogo in cui le domande non sono esplicitate, anzi sembra che Suzuki stesso sia l’intervistatore e l’intervistato per il modo di raccontare diretto, discorsivo, coinvolgente. Si capisce, però, che c’è qualcuno che pone le domande, perché ogni tanto appaiono delle parentesi quadre in cui sono riportate le espressioni di viso e faccia fatte da Suzuki, le sue reazioni con lo sguardo. Il libro I geni dello Studio Ghibli prende avvio con il racconto di come è avvenuta la conoscenza di Suzuki con Miyazaki, quando il primo era un editor della rivista TV Land e poi di Animage. Nella redazione di un numero di questa rivista, emersero per Suzuki alcuni problemi di contenuti, fino a quando non decise di occupare qualche pagina presentando un anime del passato con una sezione dedicata ai commenti dei lettori. Suzuki così conobbe La grande avventura del principe Valiant e i registi che avevano diretto il film, Miyazaki e Takahata appunto. Poi c’è stata la diffidenza del primo verso il produttore, la condivisione di un bento con Miyazaki e la conoscenza. In queste prime pagine del libro è facilmente comprensibile la stima e l’altissima considerazione che Suzuki provava nei loro confronti, tanto da dire a pagina 16: «Vedendoli all’opera, ricordo di aver pensato di avere davanti a me degli autori come la A maiuscola, visto quanto duramente lavoravano». Il libro racconta, quindi, di come i film cominciano a essere pensati, grazie alle intuizioni di Suzuki su come promuoverli. Poi è riportata una frase di Miyazaki al produttore che dice: «Dammi una mano» e così nasce Nausicaä della Valle del vento che all’inizio fu pubblicato su Animage. Il racconto di Suzuki, quindi, si espande, e procede lungo tre direttrici: intreccia la genesi del film, i problemi e le idee artistiche ai problemi lavorativi e personali, alle soluzioni che deve prendere da buon produttore, alle richieste e alle tensioni lavorative che si creavano attorno a Miyazaki. Il tutto è tenuto insieme da quelle parole di stima e contentezza di quest’uomo nel vedere Miyazaki e Takahata all’opera e nel vedere il loro lavoro compiuto e apprezzato.

Fissiamo alcuni elementi narrativi importanti di cui parla il libro. Il libro approfondisce il rapporto tra Miyazaki e Takahata che è stato spesso conflittuale, soprattutto da un lato. È Miyazaki che voleva, pretendeva e cercava Takahata il quale, invece, stava per conto suo e con le sue idee. Se quindi Miyazaki spesso si lamentava e inveiva con Suzuki contro di lui, in realtà la solidarietà e l’aiuto artistico era profondo e il regista nei suoi confronti è sempre stato premuroso e curioso. Questo è un aspetto che Suzuki pone spesso in evidenza. Altro elemento rilevante è la frase più ricorrente che è: «Fare questo film fu una scommessa» riportata in riferimento a Nausicaä della Valle del Vento e La città incantata, come per altre produzione. Ricorre spesso questa espressione proprio perché Suzuki, come lui stesso afferma, doveva contenere il processo creativo di Miyazaki, le sue perplessità, indecisioni (lui stesso dice che è un uomo parecchio altalenante) e i collaboratori che spesso si lamentavano di quanto pretendeva e di come interagiva con loro. A fianco di questi problemi c’erano quelli più prettamente cinematografici in merito al contenuto delle opere, alla realizzazione dello storyboard, ai disegni, all’intuizione commerciale sempre nuova per ogni pellicola di Suzuki. Restando sui film dopo Nausicaä della Valle del vento, la narrazione del libro parla di Laputa - Castello del cielo in cui Suzuki compare per la prima volta come produttore a cui fa seguito l’intuizione di fondare lo Studio Ghibli come un luogo in cui poter essere indipendenti nella creazione delle loro idee, anche perché come dice Suzuki a pagina 38: «Allo Studio Ghibli io mi divertivo». Cinematograficamente, poi tocca a Il mio vicino Totoro che Miyazaki voleva inizialmente affidare a Takahata e il contemporaneo Una tomba per le lucciole, questo sì diretto da Takahata che Suzuki ebbe l’idea di affidargli a seguito della sua rinuncia a dirigere Il mio vicino Totoro. Stando a quanto riportato nel libro, queste due pellicole sanciranno l’affermazione dello Studio Ghibli e furono reciprocamente ricoperti della stima dei due registi. Poi il libro affronta la sfida di Kiki - Consegne a domicilio che inizialmente Miyazaki affida a Sunao Katabuchi, anche nell’ottica di investimento sui giovani registi (Miyazaki a questo punto della sua carriera si sentiva già vecchio e stanco, riporta Suzuki). Poi ci fu un cambio alla regia e il produttore spiega tutta la vicenda molto accuratamente e il processo di gestazione creativa del film per come lo intendeva Miyazaki. «Questo facciamolo fare a Pazu (Isao Takahata)» disse Miyazaki in riferimento a Pioggia di ricordi. Suzuki spiega che Miyazaki voleva puntare sul talento dell’amico regista. Questo film è anche importante perché fu il primo a essere realizzato con lo staff assunto a tempo indeterminato e quindi, dice Suzuki, questo voleva dire mantenere tutti i dipendenti dovendo produrre film in continuazione. Porco Rosso nasce dall’intuizione di Suzuki di chiedere a una compagnia area di sponsorizzare il corto iniziale per essere proiettato a bordo. Il film è stato realizzato interamente da Suzuki e Miyazaki in stretta collaborazione, anche se pare che il primo non ricorda con grande gioia questo periodo! Successivamente ci fu la produzione di Pom Poko di Takahata, alquanto travagliata e complessa, piena di scontri e urli; I sospiri del mio cuore, progetto affidato per stima a Yoshifumi Kondo il quale portò nello studio il concetto di “progetticentrismo” come strumento di lavoro per la sua realizzazione e ai soliti scontri di vedute tra lui e Miyazaki, ovviamente mediati da Suzuki. Principessa Mononoke nasce come una vera e propria scommessa per Miyazaki il quale, spinto da Suzuki, voleva realizzare un film importante e fondamentale. La pellicola, inoltre, rappresenta il primo film dello Studio distribuito negli States grazie alla partnership che Suzuki aveva stretto con la Disney nel 1996.

I miei vicini Yamada di Isao Takahata pone in evidenza ancora di più la differenza di lavoro tra i due registi. Il film non andò molto bene a causa del cambiamento di distributore, ma poi ci fu La città incantata, forse il più grande successo dello Studio Ghibli. Fu un vero e proprio lavoro di squadra con molte discussioni sul suo andamento soprattutto tra il regista Miyazaki e Masashi Ando, il direttore dell’animazione. Il film ha vinto tutti i premi che sappiamo, ma Miyazaki non andò né a Berlino, né a Los Angeles, perché: «Hayao Miyazaki non si sente a suo agio nel prendere per sé tutta la gloria di un traguardo, ma vuole condividerla con gli altri affinché anche loro siano contenti» come afferma Suzuki a pagina 185. Il castello errante di Howl è l’opera successiva che Miyazaki non voleva dirigere, ma che Suzuki cercò di convincere del contrario. Se dopo questo film Suzuki cominciò a pensare all’idea del Museo Ghibli, la pellicola successiva prodotta dallo Studio fu Le cronache di Terramare diretto da Gorō Miyazaki. Hayao torna alla regia con Ponyo sulla scogliera che si accompagna alla volontà del regista di aprire una scuola materna per i dipendenti dello Studio, nell’ottica di quella promozione e investimento sull’infanzia che caratterizza la poetica di Miyazaki. Arietty fu la sfida successiva, diretto da Hiromasa Yonebayashi secondo un’idea di Suzuki con la sceneggiatura di Miyazaki e Keko Niwa, già sceneggiatrice di Si sente il mare e Le cronache di Terramare; La collina dei papaveri era un film sulla gioventù che faticò a rappresentare un’era di positività. Infine si giunge nella lettura a Si alza il vento. Ultimo lavoro di Miyazaki, prima de Il ragazzo e l’airone di cui il libro non parla perché scritto prima, che simboleggia, nelle parole di Suzuki l’innocenza fanciullesca del regista e che fu realizzato in contemporanea con la fase produttiva conclusiva (durata otto anni) de La storia della Principessa Splendente di Takahata. Il film che chiude questa rassegna di opere è Quando c’era Marnie diretto da Hiromasa Yonebayashi. L’epilogo del libro è racchiuso in un’intervista a tre tra Miyazaki, Suzuki e Takahata in cui emergono i diversi approcci di lavoro dei due registi (a tal proposito vi rimandiamo a un’affermazione di Suzuki a pagina 217 del libro); l’impatto delle opere Disney; e alcune osservazioni su quale opera piaccia di più all’altro, oltre che alcune considerazioni economiche sul costo dei loro film avanzate da Suzuki, da buon produttore. Su questa intervista a tre non vi anticipiamo alcun contenuto perché nelle parole dei tre è davvero racchiusa l’anima dello Studio Ghibli.

Già qual è l’essenza, l’anima di questo Studio? Sicuramente la cooperazione, il lavoro di squadra, l’affiancarsi nonostante le contraddizioni e le insoddisfazioni. E poi il divertimento. Lo Studio Ghibli, per come è presentato nel libro, è un ambiente libero, aperto, che lascia alla creatività e all’ispirazione il ruolo principale, che sa sommergere le tensioni con una risata e con la scelta di collaborare. Creare è qualcosa di davvero divertente. Questo sembra dire Toshio Suzuki nelle pagine de I geni dello Studio Ghibli e quindi è comprensibile perché da questo ambiente sia emerso un gruppo di lavoro pervaso dalla genialità. Il libro, dunque, si presenta esaustivo e completo nei racconti e nelle descrizioni, come negli apparati. Il lettore si sente immerso nella narrazione proprio perché, come detto, coinvolge con grande chiarezza e onestà per i racconti di Suzuki sugli aspetti più cinematografici e commerciali, oltre ai racconti della vita dello Studio. È un tuffo in un pezzo di cinema, è la conoscenza di un preciso metodo di lavoro che nessun altro produttore potrà mai rendere noto, è la volontà di dare parte della costruzione di un universo che è molto umano, ma che lascia ampio spazio al sogno e alla fantasia. Aggiungiamo che la fatica e l’insuperabile lavoro artigianale di ogni componente dello Studio Ghibili risalta prepotentemente come un valore aggiunto e di forte unicità. 

I geni dello Studio Ghibli è un libro di Toshio Suzuki edito da Dynita Manga nel 2023 per la traduzione di Giuseppe Buttiglione. Consta di 308 pagine così suddivise: parte uno, Dalla Valle del vento alla foresta di Totoro; parte due, La prima sfida dello Studio Ghibili; parte tre, Fare un film è una grande scommessa; parte quattro, Smettere di fare il regista? Dialogo fra due geni. Poi l’intervista a tre, Il primo e ultimo straordinario dialogo a tre dello Studio Ghibli. Miya perché non ne fai un altro?. La Tabella cronologica e la Postfazione di Suzuki fatta il 15 aprile 2019 completano il corpo del libro. Il prezzo è di 22 €. 

Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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