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Venuto al mondo

Una immagine tratta da Venuto al mondoL’ultimo film di Sergio Castellitto, tratto dall’omonimo romanzo di Margaret Mazzantini, parla di amore e morte, di speranza e orrore. Un melodramma che sfiora il patetico attraverso il cammino di una donna interpretata da Penelope Cruz

L’amore marcisce in possesso. Il desiderio di maternità si deforma e diventa smania di appartenenza. Volere un figlio che abbia i piedi, gli occhi, i gesti del padre, per imprimerlo, indelebile nel mondo. Poi la realtà che, strafottente, sbatte in faccia la verità e tutto cambia. Non  c’è elisir stregato che porti riparo  alla morte, giusto il perdono concede una carezza più simile ad una tregua che alla pace.
Il ciuffo bianco tra i capelli di Gemma (Penelope Cruz), le grinze sul finire degli occhi infettano di una stanchezza che non può essere semplicemente quella di un orario di lavoro crudele e una pila di piatti sul lavandino. La vecchiaia di Gemma  sa di miseria. La felicità dell’amore con Diego (Emile Hirsch) si è trasformata in ossessione che consuma. Lui esagerato, insaziabile, con le braccia sempre piene di lei. Gemma, il riflesso delle pupille vispe di Diego. Ma poi, la tragicità di un amore che si contamina di possesso. La disperazione della sterilità. Le forme che sono solo i cuscini dell’amore, senza niente di fertile. Una donna difettosa che non riesce a legare a sé, con un "lucchetto di carne", il suo uomo.
Il virus entra nelle vite dei due innamorati, come i vetri che, insieme al boato, implodono nelle stanze da adolescenti senza più segreti da custodire. I corpi vengono profanati e le anime saccheggiate.
È una lotta col tempo quella di Gemma. I flashback continui si ricongiungono quando la protagonista cede nel tiro alla fune di un destino consumato che sa solo guardarsi alle spalle. C’è una redenzione per i gesti di veneri sognanti trasformatisi in smorfie da megere che si trascinano in un mondo simile ai gironi infernali? Forse, ma qualcuno dovrà sacrificarsi. Un uomo o la verità. E niente resterà uguale.
Probabilmente il film deve molto alle parole del romanzo. Non è soltanto una storia cupa, è un melodramma che sfiora il patetico in certe scene di bocche deformate da urla animali. I personaggi sono esasperati, soprattutto Diego, con le sue espressioni caricaturali. La sofferenza di Gemma per un amore che perde valore di fronte alla morte pubblica, è talmente ‘incontinente’ da creare una specie di imbarazzo nello spettatore.

Se si fosse lasciato più spazio alla pregnanza delle immagini come, in effetti, avviene in certe scene, il melodramma sarebbe rientrato nelle proporzioni adeguate rispetto alla devastazione delle rovine. Sarebbe stato politicamente corretto, ma questo non è un film politico, è una storia d’amore egoisticamente intrappolata nei suoi sospetti e rancori.

 

 
 
 
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