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Un gelido inverno – Winter’s Bone

La locandina di Un gelido inverno - Winter's BoneTra le montagne del Missouri una diciassettenne si scontra contro un muro di omertà che le impedisce di scoprire la verità sul mistero della scomparsa del padre. Una storia di violenza a mo’ di thriller rurale per il secondo lungometraggio di Debra Granik, pluripremiato al 28esimo Torino Film Festival  
Ree è una ragazza di diciassette anni che trascorre le sue giornate in condizioni indigenti tra i monti del Missouri. Nonostante la sua giovane età, ha già molte responsabilità: con un padre assente ed una madre catatonica, è infatti lei ad occuparsi costantemente dei suoi fratellini ed a mandare avanti quotidianamente la sua famiglia. Ree, la madre malata ed i fratelli più piccoli rischiano di perdere la casa in cui vivono se il capofamiglia, uno spacciatore scomparso nel nulla dopo aver impegnato l’abitazione per pagare una cauzione ed uscire di prigione, non si presenta al processo che lo vede imputato. Per dipanare il mistero, Ree inizia a cercare il padre, ma ben presto si scontra contro un muro di omertà, menzogne, sotterfugi e minacce che non le permette di scoprire la verità. Pur di salvare la famiglia, è disposta a mettere a repentaglio la sua stessa vita.

Una ragazza sola, un padre che scompare, la provincia americana dura e dimenticata dei giorni nostri: in un momento in cui il cinema vive una cronica crisi di idee è una bella sorpresa trovarsi al cospetto di storie scolpite ed autentiche, ambientazioni epiche e primitive e sentimenti tanto eloquenti quanto crudi come quelli racchiusi in Un gelido inverno – Winter’s Bone, thriller rurale truculento e movimentato, ambientato nei brutali paesaggi delle distese sperdute del Missouri da cui emana un senso di minaccia continua. Tratto da un romanzo di Daniel Woodrell, il film è la prova di un cinema intelligente fatto di idee che non hanno bisogno di gigantismi per scavare nelle cause e per capire le ragioni di chi sembra rassegnato alla sconfitta ed al dolore di fronte alla durezza di una vita ai limiti della sopravvivenza.
Una scena del filmLa muta ed impassibile tenacia di Ree (interpretata magistralmente da Jennifer Lawrence, bella ed indomita) ed il suo sguardo fiero ed imperturbabile firmano fin dai primi fotogrammi il felice incontro con Debra Granik, bandiera del cinema indipendente statunitense, al suo secondo lungometraggio dopo la buona prova di Down to the Bone (miglior regia al Sundance Film Festival del 2004). Nonostante la natura mortifera che sovrasta i personaggi, il sentimento del film è l’esaltazione dell’orgoglio di saper fare da sé e di mettersi alla prova. Nulla di nuovo, se non fosse per il clima in cui gli eventi prendono vita. Ci riferiamo, in particolare, al modo in cui la regista fa fruttare le risorse drammatiche dei paesaggi semidesertici che, sprigionando una certa aura che evoca malinconie crepuscolari, giocano un ruolo fondamentale nella drammaturgia.
L’incombere di uno stupefacente paesaggio, la scabra verità dei dialoghi, i contorni misteriosi in cui si sviluppano i fatti, l’incisiva essenzialità delle recitazioni, si fondono, così, in una penetrante opera dall’intonazione nichilista e cupa che richiama una delle peculiarità del cinema di Sam Peckinpah: riscattare le miserie di esseri umani sparpagliati in una polverosa, sassosa e selvaggia realtà ai margini. Due premi al 28esimo Torino Film Festival: miglior film e migliore attrice protagonista.

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