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Okja - Recensione

Secondo film di produzione statunitense per il sudcoreano Bong Joon-ho, dopo Snowpiercer, e secondo anche in compagnia di Tilda Swinton, qui in veste anche di produttrice. La storia di Okja, distribuito da Netflix solo sulla sua piattaforma a partire dal 28 giugno, è lastricata di buoni sentimenti, rendendola così molto vicina alle famiglie ma distante da chi ha apprezzato in passato lo stile del regista

Okja è un super maiale di dimensioni gigantesche. È uno dei ventisei esemplari che la multinazionale della carne americana Mirando ha consegnato ad altrettanti allevatori in giro per il mondo. Okja, in particolare, è stato affidato alle cure di un nonno e della sua nipotina in Corea del Sud. Mija, la bambina, e il super maiale vivono quindi in un clima di benessere, tra i boschi e la natura. Un giorno, però, la Mirando decide di portare Okja a New York per esporlo come esemplare migliore in una sorta di concorso di bellezza. Mija scopre il 'rapimento' quando già avvenuto e, disperata, si mette alla ricerca del suo amico animale. Ad aiutare la ragazzina nella sua missione un gruppo di ambientalisti denominati Fronte Liberazione Animale, che con l'uso della non violenza e intrufolandosi dove non si può arrivare, riescono a mostrare a Mija e al mondo cosa si nasconde dietro la benevolenza della Mirando e soprattutto qual è il reale motivo che si nasconde dietro l'allevamento degli esemplari come Okja.
I riferimenti filosofici del film scritto e diretto da Bong Joon-ho sono chiari dall'inizio. In una delle prime scene la piccola Mija (una straordinaria per intensità Ahn Seo-hyun) si avvicina al super maiale, dalla fattezze di un ippopotamo seppur grugnisca, per estrarre dalla sua enorme zampa un riccio in essa conficcato. Proprio come San Girolamo tolse la spina dalla zampa del leone, conquistandosi la sua fedeltà eterna, allo stesso modo tra la bambina e il suo animale c'è un legame indissolubile. Ciò è mostrato, inoltre, in un'altra scena. Tenuti assieme da una corda i due sono intenti a tornare a casa per uno stretto sentiero, perché la fattoria di Mija e del nonno si trova tra le montagne, ma la piccola scivola. Il super maiale cerca, così, di tenere la corda con una zampa, lasciando in bilico nel vuoto la bambina. Con un'intuizione Okja fa leva su un tronco d'albero che scorge tra le rocce, rovesciandola e riportandola, così, sulla terra mentre il bell'animale cade tra le fronde degli alberi nel dirupo rimanendo illeso per la sua mole. Questo passaggio rivela l'intelligenza, la sensibilità dell'animale e l'intimità intessuta con la sua piccola allevatrice descritta, inoltre, in alcune scene di affetto in cui dormono anche abbracciati.
Bong filma, così, un paesaggio naturalistico e ascetico in cui regna solo la voce della natura e incoraggia lo spettatore ad innamorarsi del goffo ed enorme animale. È comprensibile, quindi, che quando gli inviati della Mirando, capitanati da Johnny Wilcox (interpretato da un Jake Gyllenhaal convincente e divertente in un ruolo un po' diverso dal solito), dinoccolata e 'pazza' immagine mediatica dell'azienda, decidono di portare Okja a New York per mostrarla al mondo, la piccola protagonista se ne risenta. Siccome, però, il film è una favola, anche il prosieguo deve essere tale. Ad aiutare Mija ci pensa il Fronte Liberazione Animale, una squadra di folli completi e ingestibili che perpetrano la non violenza e perseguono la liberazione degli animali. In testa a questa squadra c'è Jay (Paul Dano), un distinto ragazzo con sani principi ed ideali. Per una serie di equivoci Mija, in realtà, raggiunge Okja grazie alla stessa Mirando, in quanto per ragioni di marketing la multinazionale decide di mostrare al mondo la sua bontà riavvicinando la piccola allevatrice al suo animale. Il film, quando si sposta a New York, cambia però, come muta anche la regia e la scrittura di Bong. Nel mostrare l'inferno della Mirando, capitanata da Lucy Mirando (Tilda Swinton), indecisa e insicura manager che vorrebbe (forse?) solo fare del bene, anche se sfrutta i super maiali per riproduzione e li macella senza pietà, il regista coreano perde la sensibilità iniziale. Questa sembra quasi scomparire dietro la necessità di affidare alla pellicola un messaggio di condanna, puntando il dito contro l'industria della carne, soprattutto americana, e facendo leva sul buonismo legato in primis all'ingenuità della bambina. Ciò si percepisce in particolare nella caratterizzazione dei personaggi. La prima parte è perfetta nel trasmettere la goffaggine e la tenerezza del gruppo di animalisti nelle loro azioni scellerate, genuina Mija e buono seppur ingannevole il nonno. Tuttavia tali peculiarità caratteriali, accentuate da una scelta musicale al limite di un film di Kusturica, nella seconda parte si dissipano in scene tagliate con l'accetta del patetismo, in una ragazzina testarda e fastidiosa e in una lotta tra il Bene e il Male in cui vince il profitto.

Okja, quindi, è un film lastricato di buoni sentimenti, ottimo per le famiglie; un lavoro che compromette lo spirito e l'iniziativa visiva del regista coreano. La parte 'americana', inoltre, inutilmente lunga, perché scevra della naturalezza e della bellezza delle immagini della prima parte e ricolma di forzata violenza, poteva essere tagliata, portando la pellicola da circa due ore a un'ora e mezza più che efficace. Il film, come già detto e stradetto, non passerà nei cinema ma solo su Netflix, e forse vedere la natura coreana su un mega schermo poteva risultare molto affascinante.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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