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Le idi di marzo

Una immagine del filmGeorge Clooney in corsa per la presidenza del Partito Democratico degli Stati Uniti, tra intrighi, tradimenti e giochi di potere. Alla sua quarta regia, il divo americano dirige, interpreta e produce un thriller politico su luci ed ombre dei processi democratici dei giorni nostri. Film di apertura della 68esima Mostra del Cinema di Venezia

Stati Uniti. Siamo in un prossimo futuro. Miike Morris è un politico in forte ascesa, candidato alla presidenza del Partito Democratico. Ha tutte le qualità per arrivare al vertice del suo partito: riesce a  trasmette alle persone un'immagine di politico moderno, onesto ed indipendente, è un ottimo oratore e sa come conquistarsi la fiducia degli elettori con un programma legislativo che promette di rimettere al centro della vita pubblica il bene comune. Ha però un limite: l'incapacità di scendere a compromessi, un aspetto della sua personalità che potrebbe complicargli la vittoria alle primarie in Ohio, decisive per la sua carriera politica che ha come punto di arrivo la corsa alla Casa Bianca. Una equipe di esperti di comunicazione lo aiuta a conquistare i favori della stampa e, di riflesso, di una larga fetta di elettori. Tra i membri più brillanti dello staff c'è Stephen Meyers, un giovane idealista che nutre una fiducia illimitata per Morris, finché non scopre una verità scottante che rischia di mettere a repentaglio la sua elezione. Meyers si trova così di fronte ad un dilemma: deve decidere se sacrificare i principi in cui crede per evitare di compromettere la vittoria alle primarie del candidato o se farsi coinvolgere in un gioco di inganni ed intrighi politici per salvare la campagna presidenziale ed il suo avvenire.

Scelto come film di apertura alla 68esima Mostra del Cinema di Venezia, Le idi di marzo vuol essere un thriller politico, il ritratto spaventoso di una crisi morale che attanaglia l'esercizio del potere. In altre parole: una riflessione sui compromessi, sulle macchinazioni, sull'egoismo all'ombra dei processi democratici, tratta dalla pièce di Beau Willimon Farragut North. Per portarla sullo schermo, George Clooney, qui uno e trino (regista, interprete e produttore), non ha soltanto aggiornato la storia di derivazione teatrale per adattarla ai ritmi del cinema, ma ne ha modificato anche le identità e le psicologie dei personaggi coinvolti.
Nonostante alcune lungaggini ed una tendenza a non spiegare a puntino certi sviluppi della narrazione, si vede che Clooney padroneggia con classe il genere politico, senza limitarsi ad una facile retorica anti-sistema. È in questo solco che il divo americano si muove, cesellando, tra le pieghe, sorprese e tensioni con un crescendo che esploderà solo alla fine. A tenere desta la suspense sono i rituali tipici della politica, ma a conquistare di più sono i personaggi che ordiscono terribili macchinazioni.
Nell'assumere il punto di vista di Meyers, risoluto malgrado la paura che tutto quello che ha costruito possa deragliare da un momento all'altro, Clooney cade a volte in alcuni effetti visivi inutilmente esibizionistici. Il resto è allarmante e coinvolgente, anche se bisogna tenere sempre innescata l'attenzione per non perdere il filo di una storia complessa. Deciso a mettere in stato di allerta il pubblico, piuttosto che a rassicurarlo, il regista ed interprete dispiega tutta la sua abilità nei minuti finali, costruiti come un incubo che si materializza in realtà. Il suo lavoro è quindi di buona qualità e pone il film al di sopra dei thriller politici a cui siamo abituati negli ultimi tempi.

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