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Clean, Shaven - Recensione

Lodge Kerrigan prova ad investigare la follia tramite il mistero di un caso di omicidio. Arriva però a scoprire un demoralizzante vuoto in cui vige la sola regola che qualsiasi cosa tu faccia non servirà mai a nulla

Un paziente viene licenziato dall'istituto psichiatrico. Lungo il viaggio che lo vorrebbe portare a casa si imbatte nella violenza e nel dramma come se fossero rimasti da sempre lì, lontano dalla portata dei farmaci, ad aspettarlo. Viene immischiato inconsapevolmente in un caso di omicidio e deve fare i conti con il ritorno delle ossessioni, le voci, una figlia che non ha mai conosciuto, una briciola illusoria di felicità ritrovata e poi subito strappata. Deve scontrarsi con sua madre, invecchiata e refrattaria ad ogni coinvolgimento emotivo, sorretta solo da un fuoco che la sta bruciando e che trasforma l'amore in rassegnazione. Sullo sfondo c'è un mondo che lo fa soffrire e che percepisce solo tramite i sensi acuiti e fuori sincrono regalatigli dalla malattia.
Clean, Shaven è un film evocativo per quasi novanta minuti, originale solo nella forma. Fatto di paesaggio rurale, tanta sporcizia, silenzi e suoni distorti. Di occhi celesti che brillano e che fanno intuire una giovinezza carica di speranze mai vissute. Gente allo sbando, nessuna felicità, nemmeno nei bambini. Macchine arrugginite, strade polverose, uomini che barcollano e provano a fingere di non sentirsi falliti.La storia non è originale né troppo interessante. Ma è raccontata con un montaggio 'furbo'. Alcune scene sono sì davvero forti e disturbanti (prima fra tutte l'atroce sesso spento e familiare - tutto tranne che una felicità senile insperata - tra il detective e la madre della bambina) ma, in generale, ho fatto fatica a tenere viva l'attenzione.
Il finale è un capolavoro intenso e desolante. Enormemente superiore a tutto il resto della pellicola. Lascia un senso di impotenza. Sfiducia il concetto stesso del possibile. Un insopportabile retrogusto amaro. Che fa capire che volere non è mai potere, mai. Tutte stronzate da preti di campagna morti negli anni Sessanta. Più che un film sulla schizofrenia mi è sembrato un film sul vuoto più profondo. Quello che ti fa fare tante cose anche se poi tanto non serviranno a niente. Se non ad andare avanti, sorretto dai pregiudizi, o ad avvicinarti un po' di più alla vecchiaia, fino alla morte. Spegnendoti.

Rimane la precisa coscienza che tutti dopo l'ultimo respiro togliamo il disturbo esattamente come nasciamo: indifferenti, insensibili, soli. Il protagonista malato è il più normale tra tutti i mostri che si vedono nel film (in questo sono efficacissime le figure della bibliotecaria e dei clienti al bar, nell'ultima scena). Un uomo finito a cui niente fa più male e la cui ultima bugia gentile, che sogno ogni tanto, continua a torcermi il cuore.
Consigliato.

Il film è disponibile in download su iTunes.com.

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