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Biutiful

La locandina di BiutifulJavier Bardem sulla strada della redenzione nell’inferno della periferia di Barcellona: miglior attore allo scorso Festival di Cannes, il divo iberico nel ruolo di un uomo di strada che, ad un passo dalla morte, cerca di salvare la sua anima. Ancora cinema del dolore per Alejandro González Iñárritu, declinato secondo una linearità narrativa insolita per il suo sguardo
Uxbal, un quarantenne che vive a Santa Coloma, fatiscente quartiere multietnico di Barcellona popolato da persone che lottano ogni giorno contro la povertà, è molte cose insieme in una realtà corrotta fino al midollo: è un sensitivo che ha il dono di parlare con i morti e di guidarli nell’aldilà, è un uomo di strada che sbarca il lunario sfruttando la manodopera degli immigrati clandestini (soprattutto nordafricani e cinesi), è un padre di famiglia che provvede quotidianamente ai bisogni dei figli, è un coniuge separato che vuole lasciarsi alle spalle una volta per tutte una storia d’amore finita nel peggiore dei modi. Quando gli viene diagnosticato un male incurabile che lo condanna ad una morte certa, decide di trascorrere gli ultimi giorni di vita cercando di rimettere insieme i pezzi della sua famiglia, di rimediare alle cattive azioni che hanno avuto conseguenze drammatiche sulle esistenze delle persone intorno a lui e di assicurare un futuro ai figli. Nonostante le precarie condizioni di salute, Uxbal trova la forza di affrontare le avversità.

Tra espedienti di finzione, realismo dei fatti e credibilità degli interpreti, Biutiful, primo film che vede impegnato Alejandro González Iñárritu nella doppia veste di regista e sceneggiatore dopo la fine del sodalizio con Guillermo Arriaga, segue da vicino, in modo spesso commovente ed affettuoso, il calvario esistenziale di un uomo che, affiancato dalla vicinanza sempre partecipe di due figli piccoli che tutto vedono e comprendono, si dibatte con vigore tra le tante difficoltà da cui è afflitto, in una città, Barcellona, ripresa dal vero nei quartieri più miseri di Santa Coloma, in un presente, quello dei giorni nostri, tormentato da una precarietà diffusa. Un processo quasi purificatorio in cui Uxbal si fa metafora di una società, crudele ed egoista con chi è troppo debole: la cronaca di una vita straordinariamente appesa ad un filo e, di riflesso, di un mondo decaduto e decadente, attraverso un disincantato sguardo particolarmente congeniale alle corde del regista messicano, che di solito ama le vicende intrecciate, ma che qui trova la misura di una linearità insolita per il suo cinema.
Una scena del filmSi sa che quando c’è da portare a galla il fango della condizione umana, senza la pretesa di spiegarlo, Iñárritu non conosce quasi rivali. Prendendo un topos classico di tante produzioni recenti (la deriva degli sconfitti) e declinandolo con un mix di emozioni poco edificanti, l’autore di Babel racconta la storia del suo emarginato con una regia ‘sporca’ e ‘confusa’: taglia i dettagli, i panorami, le geometrie visive, con qualche sottolineatura retorica e senza elevare quasi mai Uxbal al centro dell’inquadratura. In alcuni momenti di maggior acme drammatico è attento a contenere la durata delle scene anziché eccedere. Quel che delude in parte è che la scelta di ‘eroicizzare’ – seppure in modo amaro – il protagonista vada a scapito di un altro tema: lo sfruttamento e la manipolazione delle persone più vulnerabili (i clandestini in primis). E così tutto procede come da copione, come molte volte ci ha abituato il cinema del dolore di Iñárritu, con punte di una convenzionalità esasperata e con colpi bassi nel cuore degli spettatori che hanno il sapore del ricatto emotivo.
Nei panni del protagonista in bilico tra perdizione e resurrezione, Javier Bardem mette in gioco tutto se stesso ed offre una prova da grande attore. Non a caso per la sua interpretazione ha vinto la Palma d’oro come miglior attore al 63esimo Festival di Cannes.

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