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Il superstite - Recensione

Racconto di un morboso legame fraterno tra leggende marittime e superstizioni scozzesi, Il superstite di Paul Wright regala sprazzi di buon cinema in una struttura narrativa che però mostra qualche falla evidente


Aaron è l’unico superstite di un incidente in mare in cui hanno perso la vita 5 persone. Il giovane è un tipo di quelli che si definiscono 'strani' o disadattati. Tra i morti c’è il fratello maggiore cui era profondamente legato. Mentre tutto il piccolo villaggio marittimo scozzese si ripiega sul dolore e sulla rabbia per la morte dei loro compaesani, Aaron è convinto che la leggenda del mostro dell’oceano abbia preso corpo e che i morti siano stati solo rapiti dalla creatura degli abissi: basterà trovarla, ucciderla e tutti faranno ritorno a casa. Tutto il villaggio però prova per il giovane odio e disprezzo, incolpandolo per la morte degli altri: il triste destino dello scampato alla morte che crea sensi di colpa e avversione. Per Aaron rimane l’ossessione di riportare a casa il fratello mettendo il punto finale sulla leggenda del mostro dell’oceano.
Dopo avere ricevuto numerosi riconoscimenti nell’ambito dei cortometraggi, Paul Wright si cimenta nel suo primo lungometraggio con un lavoro che si ispira alle tradizioni scozzesi e al forte e misterioso legame quasi ancestrale che lega le popolazioni della costa allo sconfinato e temuto Oceano; su questo tessuto connettivo ben costruito inserisce una storia di amore fraterno quasi ossessiva di fronte alla quale anche la morte sembra impotente. Utilizzando uno stile che risente molto del suo background, fatto di un montaggio spesso sincopato, utilizzando tecniche di ripresa molteplici, fa oscillare tutto il racconto tra il presente e il passato con rapidi flashback che ci illustrano sotto forma di un video amatoriale il legame che esiste tra i due fratelli, dà vita all’irrazionalità popolare e alle superstizioni, costruisce il classico personaggio che spaventa per la sua singolarità e che diviene il catalizzatore delle sventure e dell’avversione dei suoi compaesani, ma soprattutto racconta un rapporto ancestrale cui Aaron si aggrappa disperatamente per superare il dolore dell’abbandono.
Fin qui Il superstite (titolo italiano come sempre grottesco, dall’originale For Those in Peril), pur con qualche limite evidente, funziona a sufficienza, ma la malickiana voce fuori campo che ragiona, disserta e rimembra è veramente fastidiosa e pletorica, dando sempre l’impressione di dire e raccontare molto di più di quanto non sia necessario, lasciando una impronta negativa sul film intero.

Al di là di questo, l’opera prima di Paul Wright lascia intravedere le doti del regista soprattutto quando immagini e suoni colorano il film con buona autenticità. Aspettiamo quindi con moderata fiducia l’opera seconda, come sempre vera prova del nove, del giovane regista britannico.

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