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Una notte da leoni 3

La terza parte della saga del ‘Branco’, senza matrimoni e droghe smemoranti, esaurisce il guizzo eversivo e divertente nell’incipit e nei titoli di coda. Nel mezzo, un mediocre road-movie simile a una puntata interlocutoria di un serial televisivo

Dopo un’ennesima follia di Alan, la madre chiede ai suoi amici di accompagnare lo svalvolato figlio in una remota casa di cura. Durante il viaggio i quattro sono aggrediti dal malavitoso boss Marshall (un John Goodman sottotono e bolso) che li ingaggia per ritrovare Mr. Chow, evaso dal carcere e autore di un clamoroso furto di lingotti d’oro ai suoi danni. I nostri avranno ventiquattr’ore di tempo per ritrovare lo schizzatissimo cinese, pena la morte di Doug, il cognato di Alan, tenuto in ostaggio.
Per la terza puntata della saga, Todd Phillips sceglie di riportare i suoi eroi di nuovo a Las Vegas (che en passant, vista di giorno, è spaventosamente simile ai polverosi villaggi mediorientali che gli americani si divertono a bombardare), forse per ritrovare, inutilmente, la verve allegra e originale che si era smarrita nel primo sequel.
Il carattere interpretato da Zach Galifianakis è sempre molto simpatico, così come il suo alter ego perverso Ken Jeong\Mr. Chow, ma i loro piccoli siparietti annegano nello svolgimento narrativo, quando proprio il buon utilizzo dei tempi comici era uno degli atout dell’episodio originale. Il regista rinuncia anche a replicare in modo pedissequo la trama dei due film precedenti e l’action poco originale che imbastisce al suo posto, ha il solo fine di introdurre la futura moglie di Alan e creare le premesse per il prossimo capitolo della serie.
Chi decide di vedere un film con un numero progressivo nel titolo fa un patto con l’autore:
“Sono un mezzo sfigato e la mia morosa è bassina, anonima e col nasone. Ho meccanicamente sfornato hamburger da McDonald per otto ore. Adesso mi voglio rilassare e divertire. Non voglio essere sorpreso o assistere a un capolavoro. Voglio una pappa con gli stessi ingredienti della precedente, magari in una tazza diversa. Chiedo troppo?”
Sì. La produzione non ha rispetto per il pubblico. Perché? Mancanza d’idee? Sembra di no: la gag della giraffa, la morte del padre e il discorso al funerale sono esilaranti.

Viene quasi il sospetto che si stia introducendo, nella bulimica offerta della cinematografia americana, il concetto di film inappagante, ossia quel film che faccia dell’insoddisfazione l’esca per l’acquisto di uno spettacolo alternativo che colmi il mancato sollievo mentale dell’infelice sforna-hamburger.

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