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Zero Dark Thirty

Kathryn Bigelow racconta l'ossessione di un paese intero: la caccia e la cattura di Osama Bin Laden. Più documentario da History Channel che grande cinema

Il decennio che ha aperto il Terzo Millennio è stato per gli Stati Uniti d'America uno dei più drammatici: dall'11 settembre 2001 al 2 maggio 2011 il Paese ha vissuto con l'ossessione di liberarsi del Diavolo dal volto di Bin Laden e la sua uccisione è stata vissuta come la fase terminale di un grande processo di esorcizzazione.
Zero Dark Thirty
di Kathryn Bigelow è il racconto di questa ossessione durata dieci anni, vista con gli occhi dell'agente Cia Maya, personaggio in gran parte di fantasia, ma sotto il quale si cela probabilmente qualche persona reale, che con la sua tenacia e la sua intuizione ha portato all'operazione che ha annientato il capo di Al Qaeda.
Quasi un documentario per larghissima parte, scandito da riferimenti topografici e cronologici, il film della Bigelow sembra un lavoro da History Channel tanto preciso e privo di retorica si presenta. Niente 'eroi' con cicatrici devastanti nel corpo e nello spirito, niente apologia stelle e strisce, attenta ricostruzione storica, poco spazio per le consuete situazioni da film bellico in stile americano, molto defilate le tipiche guerre intestine all'interno della Cia; unica eccezione narrativa è la prospettiva molto al femminile dell'agente in gonnella, al suo primo incarico e catapultata in una zona esplosiva dove è facile perdere il controllo dei nervi.
L'ossessione che avvolge l'agente Maya è quella di un intero popolo, probabilmente di una gran parte del pianeta intero, ed è vissuta come un lungo processo di conoscenza e di apprendimento in cui solo la tenacia ed il fiuto riescono a tenere a galla la convinzione di farcela. A parte la figura della protagonista, non c'è spazio per introspezioni né per situazioni di genere: la realtà e la finzione cinematografica arrivano quasi a sovrapporsi e la sensazione di assistere ad un eccellente documento su un evento che probabilmente entrerà nella Storia è tangibilissima.

E' chiaro quindi che il giudizio del film nel suo complesso non può prescindere dalla considerazione che di 'cinematografico' c'è molto poco: manca il pathos, mancano i personaggi, manca qualcosa che penetri e che lasci qualche segno, ma il lavoro della Bigelow troverà comunque folte schiere di ammiratori, in patria e fuori, e c'è da giurare che la regista se ne tornerà da Hollywood con qualche statuetta nella bisaccia.

 

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